giovedì 5 luglio 2012

IMPARARE DALL’AFRICA

LA GIUSTIZIA NEL PRATO

clip_image001un processo Gacaca

Francoise Kankindi è una splendida ragazza rwandese (“Sembro una ragazza” dice “ma non lo sono affatto. E invece non sembro una Tutsi, etnia di gente altissima ( i famosi Watussi, ndr). Io sono piccolina”. Dal 1992 Francoise, presidente dell’associazione Bene Rwanda, vive in Italia, prima a Milano e poi a Roma. La incontro a Bolzano, in occasione del Premio Alexander Langer, che quest’anno è stato assegnato all’Association Tunisienne des Femmes Democrates.
Con loro, e con l’iraniana Parvin Ardalan, parliamo con amarezza delle rivoluzioni dell’Islam, quella khomeinista di 30 anni fa, e le primavere arabe di oggi. Per quanto riguarda le donne, un copione immutato. La libertà femminile agitata come un vessillo nella fase rivoluzionaria, il corpo femminile che diventa involucro-simbolo dei diritti di tutti. Le donne che riempiono le piazze e si mobilitano in rete accanto agli uomini, protagoniste dei moti rivoluzionari. Caduti i tiranni, nella fase di costruzione e consolidamento del nuovo regime le donne vengono rimesse al loro posto. I loro diritti si retringono, il sogno di libertà svanisce come neve al sole. Tutto come prima. Peggio di prima. Il patriarcato mostra un volto diverso, ma resta vivo e feroce.
Con Francoise parliamo di un’altra storia: del genocidio in Rwanda, nel 1994, quasi un milione di morti, e del post-genocidio. Racconta che quando si trattò di ricostruire il paese ci si rese conto che per processare tutti i genocidari -grande parte della popolazione maschile rwandese- con i riti della giustizia convenzionale un secolo non sarebbe bastato. La soluzione adottata furono i tribunali Gacaca (=prato) forma di giustizia tradizionale dei villaggi, qualcosa a metà tra mediazione dei conflitti e terapia di massa. Gli abitanti dei villaggi si sono riuniti per raccontare, ciascuno dal proprio punto di vista, quello che era capitato. Si sono versate molte lacrime, sono stati liberamente espressi i sentimenti: la rabbia di chi aveva subito le violenze, il pentimento di chi le aveva commesse, viatico del possibile perdono e di una pena giusta.
Dopo dieci anni di processi, il 18 giugno scorso il Gacaca si è ufficialmente concluso con una grande cerimonia pubblica. Più di due milioni di persone sono state processate.
Nel corso della cerimonia il presidente Kagame ha detto che il Gacaca ha permesso al paese di ritrovare unità, fiducia e riconciliazione, offrendo una soluzione “a questioni apparentemente irrisolvibili”.
“Ci siamo rivolti al Gacaca, il nostro tradizionale meccanismo di risoluzione dei conflitti. Oggi i rwandesi hanno riscoperto la loro autostima e fiducia collettiva”.
“Il Gacaca ha sfidato ogni rwandese a praticare introspezione e ricerca interiore, il che ha portato a dire la verità, alla guarigione nazionale, alla riconciliazione e alla giustizia. Ci ha mostrato il valore liberatorio della verità”, ha detto.
Il segretario esecutivo della Giurisdizione Nazionale Gacaca è una donna, Domitilla Mukantaganzwa. Il Parlamento rwandese oggi è composto da una maggioranza di donne, 44 su 80. Spiega Francoise: “Con il genocidio abbiamo toccato il fondo, e il fondo è stato quella terribile violenza maschile. Il corpo della donna tutsi era diventato il campo di battaglia. Non potevamo che risalire, e non potevamo che farlo con le donne. Oggi quelle stesse donne umiliate e stuprate hanno in mano i destini del paese”.
Imparare dall’Africa, nostra madre.
Fonte

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