mercoledì 30 novembre 2011

DADAAB

In questo periodo non si parla d’altro che della crisi economica e finanziaria che colpisce la zona euro e in particolare i paesi europei più deboli, Italia compresa.
Abituati, come eravamo, ad abitare nel “Paese di Bengodi”, ora ci risulta molto difficile rinunciare a tutto il superfluo di cui sentivamo la assoluta necessità, per non dire il diritto di possedere. Certamente i sacrifici, che dovremo affrontare, cadranno, come sempre, sulle spalle dei più deboli.
E, come sempre, i più deboli sono i lavoratori, i precari, i disoccupati, i giovani e gli anziani con la minima di pensione. Per fare fronte ai nostri impegni debitori, bisognerebbe andare a pescare nelle tasche di chi detiene ricchezza, ma è sempre risultato difficile che chi detiene il denaro e quindi il potere possa togliersi di tasca ciò che crede essere il guadagno del suo tanto operoso ingegno. La cosa strana, nella nostra società, è sempre stata che chi lavora duramente non ha niente, se non il minimo per vivere e poter continuare a lavorare per chi gode di privilegi (le varie caste, politica, commis di stato, squali della finanza e dell’imprenditoria), tanto che quest’ultimi si possono permettere tutto a scapito di tanti.
“La Banca d’Italia dice che nel 2009 tutte le famiglie possedevano più o meno 350 mila euro in beni di vario tipo. E’ la vecchia storia dei morti sulle autostrade. Se ogni anno ci sono mille viaggiatori e cinquecento morti, significa che siamo tutti mezzi morti.
Invece la vita insegna che c’è chi muore e chi se la spassa. Nella fattispecie, delle 24.905.042 famiglie italiane [al 31 dicembre 2009, fonte Istat], ce ne sono 2 milioni, 490 mila e 504 (10%) che se la spassano, possedendo oltre il 45% dei 9 miliardi e mezzo di euro cui assomma la ricchezza lorda di tutte le famiglie messe insieme, e oltre 12 milioni (12.452.521) che se la vedono male, dovendo spartirsi un misero 10%.
In parole povere, col cavolo che la ricchezza di ogni famiglia assomma a 350 mila euro: ci sono 10 famiglie su 100 che hanno in media un milione e mezzo di euroa testa e 50 famiglie su 100 che non arrivano a 70 mila. Di più, queste ultime hanno un reddito medio familiare annuo di 8.019,30€ contro i quasi 200 mila euro delle 10 famiglie vip.
Tanto per schiarirvi le idee, se la torta intera fosse la ricchezza disponibile, e ogni smiley fossero 2 milioni e mezzo di famiglie, la situazione del nostro paese a tutto il 2009 sarebbe più o meno questa.
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10 famiglie su 100 hanno uno spazio vitale degno di un imperatore, 40 si accontentano di un modesto giardinetto privato (sono quelle che fanno la settimana bianca) e 50 vivono accatastate le une sulle altre come e peggio delle galline in un moderno allevamento di polli, dove la luce del sole è un miraggio e se vai di corpo fai lo shampoo a quello di sotto. La storia tristemente insegna che prima o poi le 50 faccine rosse, livide di rabbia, invadono i giardini fioriti delle 10 faccine sorridenti, che smettono di sorridere.
Buon senso vorrebbe invece che, sulla torta, ciascuno avesse più o meno lo stesso spazio, ma ciò che alcuni chiamano ragionevole, altri lo chiamano comunismo. Punti di vista. Intendiamoci: una distribuzione di risorse e di ricchezze perfettamente equa è utopica e forse contraria alla natura competitiva dell’essere umano, ma anche un sistema sociale nel quale il divario in termini di benessere sia tanto esasperato da suonare offensivo è insostenibile.” segue
Ora, in base a queste argomentazioni proporrei di offrire una speciale vacanza a quel 10% delle famiglie italiane che possiedono oltre il 45% della ricchezza complessiva. Sarebbe, senza ombra di dubbio, una vacanza istruttiva e diversa dalle abituali ed usuali a cui sono abituate. La vacanza premio avrebbe la durata di 10 anni e la location (termine molto di moda oggi)  è, niente popò di meno che

DADAAB

meta turistica dove apprendere quanto sia inumano e criminale trattare gli altri come esseri inferiori, solo perchè poveri e poveri, perchè defraudati delle loro proprietà e dei loro diritti.

Ed ecco a voi DADAAB

IL CAMPO PROFUGHI PIÙ AFFOLLATO DEL MONDO

Una fotografia aerea del campo profughi di Dadaab, in Kenya, uno dei più affollati al mondo, postata su Flickr da Oxfam International, mostra quanto il problema degli sfollati possa essere grave. Nel campo vivono 450.000 rifugiati, la maggioranza dei quali fuggiti dalla siccità e dalla guerra civile scoppiata in Somalia nel 1991. Altri 1.500 profughi arrivano ogni giorno.

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Vista aerea di Dadaab, il campo profughi più affollato al mondo © Oxfam International


Nella speranza di trovare tregua dal conflitto, dalla carestia e dai disastri naturali, si stima che il 75% di tutti i rifugiati vivano in Paesi confinanti con il proprio, dando vita a una crisi umanitaria che sfrutta al massimo le risorse dei governi ospitanti e delle organizzazioni internazionali. Fonte

KATE HOLT, una fotogiornalista freelance ci mostra la realtà quotidiana di questa gente che vive in terribili condizioni da vent’anni. Questa gente sa che cosa è la crisi. Per questo la dovrebbe conoscere anche quel citato 10% di famiglie italiane.


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all images © Kate Holt all rights reserved

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Mia Farrow, UNICEF Goodwill Ambassador, meets severely malnourished children on a one day visit to Dadaab Refugee Camp,  in Dadaab, Northeastern Kenya on the 26th August, 2011. Mia Farrow is on a visit with UNICEF to Kenya to highlight the ongoing nutrition crisis affecting the Horn of Africa.

website:  www.kateholt.com/
Explore the conditions in Dadaab further using Google Maps and Images.

KATE HOLT
Born in Zimbabwe, I traveled extensively with my family while young, but my first trip alone was to Romania, following the fall of Ceausescu in 1991.
News of the horrific conditions in which Romania's unwanted children were being kept had hit the British headlines and I decided to see what I could do to help. I arrived at Negru Voda orphanage in January 1992 after leaving school. It was home to 360 severely disabled children. Many had never left the confines of their wards where they were crammed three to a bed - beating their heads against the walls in violent frustration, or rocking silently to comfort themselves after years of neglect. Romania's forgotten children had a huge effect on me. At the age of 19 I had no idea the world could be so cruel. I worked there for a year and returned every summer while studying at university.
Realizing that aid work touched the tip of much bigger issues, I turned to journalism as a way to expose these to a wider audience, and those with power to make a difference. After leaving St Andrew's University, I joined the BBC's News and Current Affairs department and subsequently went on to study photojournalism at the London College of Printing.
Traveling to Bosnia in the wake of the war I continued on to Albania to document the refugees who flooded over the border from Kosova in 1999. The post conflict environment of the Balkans fascinated me and I became aware that the most vulnerable people, primarily women and children, were slipping through the net of international aid, which opened them up to exploitation and abuse. Returning to Bosnia, I spent a year uncovering the exploding sex slave trade - young girls trafficked from Romania, Moldova and the Ukraine being bought and sold as commodities, primarily to service the sexual needs of the International Community. This was the first time the issue of women being trafficked from Eastern Europe for sexual use had been exposed.
Moving on to work in DR Congo in 2003 I uncovered extensive sexual abuse of young girls by UN peace keepers, as well as high level cover ups of the issue by UN personnel in New York. The findings of this story forced Kofi Annan, then Secretary General of the United Nations, to announce a "zero tolerance" policy within the UN to sexual exploitation.
Backed by The Independent Newspaper, I continued to investigate the issue, which eventually led to the forced resignation of the head of the UNHCR, Rudd Lubbers.
Nominated three times for the Amnesty Award for Humanitarian reporting, as well as the Prix Pictet Photographic Award, I have worked extensively in East and Southern Africa for the last ten years, and more recently have returned to working in both Afghanistan and Somalia.

Tornando a noi, quanto tempo passerà, prima che i 31 milioni di italiani ammassati nella fetta rossa della torta decidano che è venuto il momento di dare una risistematina alla spartizione del benessere?

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