giovedì 7 aprile 2011

IL MITO DELLA LIBIA TRIBALE

Definire la Libia come un paese tribale non soltanto è sbagliato, ma nega il fatto che la rivolta libica abbia a che fare con la dignità nazionale – afferma Alaa al-Ameri


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Durante le ultime settimane, la parola “tribalismo” è stata usata intensamente nel contesto della rivolta democratica libica – uno spettro che si profila minacciosamente sul paese, personificando il male che non conosciamo. Questa teoria è stata incuneata nell’opinione pubblica da Saif al-Islam Gheddafi durante il suo discorso del mese scorso in cui aveva minacciato lo spargimento di sangue e la distruzione che il regime di suo padre ha scatenato sul popolo libico.
Questa immagine della Libia come una società tribale arretrata, con nessuna identità nazionale reale, è stata ripresa e ampliata, in modo sconfortante, da molti sedicenti esperti e politici occidentali – spesso come parte di un ragionamento teso a dimostrare che il sostegno militare e materiale alla rivoluzione libica è una cattiva idea.
Il regime è mosso da due motivazioni principali nel ribadire la sua teoria, seppure infondata. Primo, la popolazione nella parte ovest della Libia non ha accesso ai mezzi di comunicazione esteri, e quindi l’affermazione che il regime di Gheddafi gode della lealtà dei leader regionali intende far crollare la fiducia di coloro che vorrebbero ribellarsi nelle città dell’ovest. Secondo, si intende far credere agli stranieri che il regime di Gheddafi sia ciò che mantiene insieme un popolo diviso e disunito. Richiamare alla mente immagini dell’Iraq è l’effetto desiderato. Questi obiettivi di Gheddafi sembrano non aver incontrato molta resistenza presso certi esponenti della stampa internazionale e dei movimenti anti-interventisti.
Vediamo però in quale misura le tribù sono davvero una realtà importante nella Libia moderna. Durante buona parte della storia libica, i raggruppamenti tribali erano in effetti un fenomeno sociale preminente. Tuttavia, quando parliamo di tribù nella Libia odierna ci riferiamo semplicemente a una distinzione storica fra comunità regionali all’interno di un paese enorme. Tali comunità sono diverse dai raggruppamenti sub-nazionali che prevalgono sull’identità nazionale dei cittadini in quanto Libici – si tratta di un’identità difesa a caro prezzo contro l’Italia fascista e i tentativi britannici post-bellici di dividere il paese.
I capi tribali tradizionalmente servono più o meno come magistrati locali, preposti a dirimere controversie sulla terra e il commercio, e a presiedere casi attinenti al diritto di famiglia. Dopo che è salito al potere, Gheddafi ha introdotto i consigli rivoluzionari, che ha usato come mezzo per incentivare le divisioni tra regioni e persino tra famiglie. Mentre prima l’identità tribale non comportava né ricchezza né potere, da quel momento in poi poteva essere invece usata come trampolino per ottenere una posizione di autorità nazionale, ricchezza e potere, tramite l’elezione al consiglio rivoluzionario.
Il panorama d’insieme, quindi, non è un conflitto tribale di vecchia data. I casi più recenti di controversie basate sulla lealtà tribale sono stati alimentati e architettati dalla politica di Gheddafi del ‘divide et impera’. Fintantoché le tribù litigavano tra di loro, era meno probabile che si unissero contro di lui. Ebbene, ora lo hanno fatto, e nel tentativo disperato di sopravvivere, Gheddafi, suo figlio e la sua cerchia ristretta cercano ripetutamente di agitare lo spettro di un sistema patronale ormai rifiutato che hanno utilizzato durante svariati decenni per conservare il potere.
Qualcuno fra coloro che hanno osteggiato l’intervento militare internazionale sembra aver accidentalmente preso tale discorso come la caratteristica definitoria della Libia moderna. Tuttavia, questo luogo comune accettato passivamente deve superare il test degli eventi reali.  Se davvero c’è un separatismo tribale autentico, perché i libici continuano a combattere per liberare la zona ovest del paese? Ora hanno il controllo dello spazio aereo, delle zone di produzione del petrolio, e un governo provvisorio che gode di riconoscimento e sostegno internazionale.
Se il tribalismo fosse alla base di questo sforzo, perché rischiare tutto per liberare le città occidentali? Perché città come Misurata, Zawiya e Zintan, tutte a poca distanza da Tripoli, hanno scelto di far parte del Consiglio Nazionale di Transizione – un governo appena nascente nell’altra parte del paese,  che finora è stato incapace di appoggiarli o venire in loro aiuto?
Questo è un atto tribale, oppure l’atto coraggioso di chi prende posizione di fronte a un tiranno, per solidarietà con i suoi compatrioti libici?
Bisogna anche ricordare chi ha scatenato questa rivoluzione – sono stati soprattutto i giovani, molti sotto i 30 anni, che hanno vissuto tutta la loro vita nei centri urbani. Quanti nativi di Glasgow sotto i 30 anni conoscono o hanno a cuore da quale clan siano discesi? Su quale base, oltre agli stereotipi culturali, suppongono certi commentatori che i giovani di Bengasi, Misurata e Tripoli sono differenti? Quale lealtà tribale serviva Mohammad Nabbous – un cittadino e giornalista che ha fondato l’emittente televisiva e online indipendente ‘Libya Alhurra’ nei primi giorni della rivoluzione – quando è rimasto ucciso dal fuoco di un cecchino all’età di 28 anni, mentre documentava il falso cessate-il-fuoco cinicamente annunciato dal regime di Gheddafi il 19 marzo?
Vorrei chiedere a coloro che rigurgitano e ingigantiscono la propaganda “tribale” del regime del colonnello attraverso la stampa internazionale: quanti Libici avete consultato al riguardo? Quanti Libici che non siano membri del regime, che non partecipino ad un raduno pro-Gheddafi nella Piazza Verde o in un sobborgo fortificato di Tripoli, e che non si trovino sotto l’occhio vigile di una guardia filo-Gheddafi, hanno espresso le vedute che state ripetendo nei vostri articoli e nelle vostre interviste? Mentre noi combattiamo per liberarci da questo regime terribile, voi ci attribuite etichette estrapolate in fretta da una lettura dell’ultimo minuto. Tripolitania e Cirenaica – trovatemi un Libico che abbia mai usato questi termini per descrivere il proprio paese.
Dandoci dei ‘tribali’ ciò che fate effettivamente è scartare l’idea che la nostra rivolta abbia qualcosa a che vedere con la libertà, la democrazia o la dignità umana. Per caso voi collocate le lealtà regionali ristrette al di sopra di questi valori? Ho la certezza che rifiutereste una tale caratterizzazione, com’è giusto. Per favore fateci la cortesia di concedere a noi Libici le stesse caratteristiche umane che attribuite a voi stessi.
Alaa al-Ameri è lo pseudonimo di un economista anglo-libico
Original Version: The myth of tribal Libya
Fonte

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