domenica 13 febbraio 2011

LA PENSIONE DEL DITTATORE

Da Bokassa ad Amin Dada, dalla fuga col bottino alla follia: le vite dei tiranni dopo la caduta del trono 
     Le cronache degli avvenimenti, e più tardi la storia, ricordano delle dittature brutalità nascoste sotto l’ipocrisia di sorrisi e promesse: coprono il dolore delle vittime e le condiscendenze neanche segrete del mondo civile. Ma ci si dimentica delle pagine minori, vita quotidiana dei protagonisti pubblici con le preoccupazioni private di ogni capo famiglia: dopo il potere, processi e rancori, come “sbarcare il lunario”? Curiosità trascurata dalla grande politica. Chiacchiere da microstoria che eppure impegnano i consiglieri dell’uomo forte: mettere subito da parte qualcosa, non si sa mai. Tesori dello Stato che emigrano in banche lontane da raggiungere nei giorni della fuga.
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   Paradiso raggiunto da Ben Ali, paradiso degli arabi del petrolio, paradiso di Londra. La preveggenza del buen retiro è contemplata nel decalogo di ogni colpo di Stato. Ma non sempre va bene perché non sempre la democrazia ritrovata si rassegna nel nome della pacificazione nazionale. È successo ai dittatori di ieri, chissà come andrà per i dittatori ancora sul trono.

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   L’Imperatore amato da  Giscard d’Estaing

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   BOKASSA è il protagonista-simbolo di un grottesco irripetibile nell’era di Internet. Figlio di un piccolo sindacalista assassinato dai miliziani della Compagnie Foréstière, proprietà della grande famiglia francese Bardoux, studia in un collegio missionario e fa il militare di professione. Combatte nell’Europa del nazismo e
nell’Indocina che la Francia perde. Congedato con la Legion d’Onore, torna nel suo Centro Africa, a Bangui. Si sente francese e i servizi di Parigi gli regalano un colpo di Stato quando un presidente vuole frenare la privatizzazione della più grande miniera d’uranio del continente nero. E Bokassa entra nel bel mondo. Gheddafi lo abbraccia, Valerie e François Giscard d’Estaing   vanno a caccia di elefanti (proibitissima) ma l’uomo forte chiude un occhio: banchetti e champagne.Gli affari sono affari: nasce una società a Zurigo assieme a una banca nelle mani di François Giscard d’Estaing mentre il cugino
governa l’Eliseo.

   Scaricato con l’accusa  di cannibalismo

   IRREQUIETO e incontentabile, Bokassa riceve la più alta onorificenza francese e il permesso di incoronarsi Imperatore. Cerimonia e banchetto entrano nelle leggende africane. François
organizza il pranzo: ostriche e paté da Parigi. Ma l’imperatore pretende nuovi onori e finanziamenti insensati che trascinano nel ridicolo l’austero Giscard. Che all’improvviso ricorda che il padre di Bokassa era stato ucciso dai miliziani della Compagnie Forestière dei Badoux, bisnonni della signora Giscard, sua moglie. Come farlo sparire senza esserne coinvolti? Invenzione fantastica: Bokassa diventa cannibale. E vengono mostrati cadaveri nei frigoriferi della “reggia”. Deposto, processato, esilio in Costa d’ Avorio, condannato a morte ma inspiegabilmente liberato perché Bokassa aveva pensato al dopo: lettere e contratti al sicuro in una banca svizzera. Meglio lasciarlo alle stravaganze. Si beve un castello e i capitali; torna a Bangui dove la condanna a morte diventa   ergastolo poi trasformato in libertà vigilata. Riceve i visitatori avvolto in una tunica bianca, chiede la cortesia di consegnare al Papa un messaggio “personale”, carta intestata Bokassa I, imperatore d’ Africa. Negli stessi giorni Giscard d’Estaing diventa presidente della commissione
che scrive la Costituzione europea.

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   BANZER è l’esempio opposto: diventa dittatore moderno della Bolivia dopo aver studiato guerra psicologica alla Scuola delle Americhe di Panama, invenzione del Pentagono. Colpo di Stato, migliaia di morti, torture nelle quali le leggende coinvolgono volontari dell’Italia nera: Stefano Delle Chiaie e Giovanni Ventura. Insomma, cronache che non cambiano con una variante: dopo la presa di potere, armi alla
mano, del ’71 (prova generale del defenestramento di Allende in Cile) lascia nel ’78 e fonda un partito nazionalista che lo rielegge più o meno democraticamente. Inflazione terrificante: 5 mila per cento l’anno,prezzi che cambianot re volte al giorno. Assieme al cugino Alvaro Gomez Suarez, re della coca (ma la Dea non riesce a mandarlo in prigione un solo giorno)è proprietario di un impero immobiliare il cui slogan è: Metti i soldi sotto il mattone. Giornali e tv nelle sue mani. Il povero giornalista che lo intervista per gli speciali del Tg2 di Sergio Zavoli, all’ultimo momento riceve un foglietto che trasforma le sue domande. Decide di ignorare i “piccoli” cambiamenti e il colloquio con chi adora solo messaggi e monologhi va avanti così. Domanda: sopravvive in Bolivia qualche seguace del Che Guevara? Risposta:“I rapporti commerciali tra Roma e La Paz restano eccellenti”. Un’ora di vaniloquio. Banzer muore nel suo letto, funerali di stato, eredità colossale agli eredi che vivono negli Stati Uniti.

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FUJIMORI era scappato a Tokyo inseguito dall’accusa di aver ordinato l’uccisione di 25 avversari politici. La doppia nazionalità (peruviana e giapponese) e la ricchezza accumulata nelle banche lontane, lo hanno illuso di poter   tornare a Lima per riguadagnare il potere. È andata male. Arrestato in Cile, viene condannato in Perù a 25 anni di una prigione dorata dove si celebra il matrimonio della figlia, oggi candidata alla presidenza nel nome del padre. È il solo dittatore ad aver organizzato la finzione di un colpo di stato contro se stesso, pretesto per dissolvere un parlamento “troppo normale”. Controllo spietato dell’informazione, Fuji dava sempre appuntamento ai giornalisti stranieri tra le 7 e le 8 di sera, ora di tutti i Tg. Risponde con gli occhi sullo schermo. Si scusa ma deve osservare il Fujimori virtuale che parla e non smette mai. Era il suo metodo di governo: ascoltare sempre e solo se stesso.

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   L’Eterno presidente  di un’infinita dinastia

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   KIM IL-SUNG fiore del comunismo di Stalin e Mao, è quasi un Bokassa asiatico: regna nella Corea del Nord dal 1948 fino alla morte, 1994. Vita nella guerriglia anti giapponese e nel partito Comunista. Obbedisce agli ordini degli amici spirituali, il “grande leader” prova a invadere la Corea del Sud nel 1950. Due paesi separati dal confine artificiale concordato a Yalta e all’improvviso occupati da truppe
americane e cinesi: è la prima guerra dopo Hiroshima. Kim II-sung manovra i corridoi della politica con metodi sbrigativi: elimina nelle purghe gli avversari di partito e con i proconsoli di Mosca nazionalizza ogni industria e bottega del paese. Distribuisce leggende sulla sua ubiquità. Gonfia uno sfrenato culto della personalità, incide il suo nome nella nuova costituzione definendosi Eterno presidente. Il Muro di Berlino gli crolla addosso ridimensionando l’importanza strategica della Corea Nord. Quando se ne va lascia la poltrona al figlio Kim Jong-il, un paese in bancarotta e la popolazione alla fame: le poche risorse   sono nelle casse militari. Kim Jong-il esaspera gli insegnamenti del padre nell’avventura nucleare. Ma a differenza del padre è un bon vivant: pranzi, belle compagnie, tanto cognac. Voci di voci perché nessuno apre bocca. Il culto della personalità continua: fra le meraviglie turistiche che i pochissimi visitatori sono obbligati a visitare, ecco la grotta dei Regali al nostro presidente, compleanni e viaggiatori di passaggio.
Museo allucinante a cento chilometri dalla capitale: lampadari, divani, televisori al plasma e il profilo in acciaio di New York, gentilezza dei Black Power sopravvissuti ad Harlem. Sta male. Nella Repubblica di famiglia sarà il figlio piccolo Kim Jong-un a prenderne il posto, ma il figlio grande Kim Jong-nam per la prima volta rompe e protesta. In qualche modo soldi e potere a braccetto.
Chissà che fine fanno gli appalti milionari degli operai coreani del nord: aeroporti del Golfo, strade e case nel Sudan. Il Kim padre impegna braccia condannate ai lavori forzati. Non costano niente e il guadagno lo controlla il presidente.

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   IDI AMIN DADA è un “criminale buffo”. Quando governava l’Uganda riceve la regina Elisabetta con le braccia cariche di banane “per sfamare il popolo inglese”. Dopo 7 anni di potere scappa lasciando una scia di 500 mila morti. Genocidio delle tribù rivali, avversari politici, stranieri che gli facevano paura: asiatici e somali, soprattutto. Uccide personalmente una vecchia signora israeliana all’ospedale per un malore dopo il dirottamento di un aereo francese ad Entebbe. Le spara quando un commando di Tel Aviv libera gli ostaggi. E a dire che il suo colpo di Stato era stato accolto “con entusiasmo” da Londra e Israele: “Finalmente un amico nell’Africa ostile”. Amico alto 2 metri,chepesava120chili,edera campione nazionale di boxe. Ha riarmato i militari dissanguando il paese. Armi vuol dire tangenti e Amin scappa come un nababbo. Raccontava in Tv di riuscire a parlare col pensiero ai coccodrilli. Indossava giacche lunghe tempestate dalle decorazioni che si attribuiva da solo   .Scappa nel‘79nella Libia di Gheddafi portandosi un aereo e un elicottero. A Tripoli lo aspettano Ferrari e Mercedes da corsa. Vive come un pascià ma Tripoli lo annoia. Muore in Arabia Saudita dove i principi gli pagavano lo stipendio da consulente per gli affari panafricani.

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   MILOSEVIC ha una carriera trionfante che finisce però nel carcere dell’Aja l’11 marzo 2006: morte sospetta nel sonno mentre aspettava l’ultima sentenza del processo per crimini di guerra. Nella stessa prigione il suicidio di Milan Babic, “duce” dei serbi di Krajina, regione contesa con la   Croazia. E qualche anno prima, sempre all’Aja, si impicca il comandante serbo croato Slavo Dokmanovic: la ex Jugoslavia svanisce così. Milosevic si era illuso di domare il Kosovo e ha provato a distruggere Sarajevo. Pulizie etniche che ricordano i manuali hitleriani, eppure una parte dei serbi continua a rimpiangerne il nazionalismo che non considerava i diritti umani. Nella sua ombra sono cresciuti gli affari e i trafficanti di armi. Ha seminato ricchezze che gli è stato impossibile godere.

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   NORIEGA, professionista del doppio gioco, da anni passa da un carcere all’altro in attesa dell’ultimo processo: lo vuole la Francia, lo chiede Panama. Miami lo ha già condannato: traffico di armi e di coca. Aveva sincronizzato il potere di presidente di Panama alle ombre della Cia e alla collaborazione stravagante con i servizi di Mosca e di Castro. Bush padre lo usava per controllare la guerriglia della Farc: armi in cambio di droga e Washington sapeva di quale arsenale disponeva l’inutile rivolta marxista colombiana. Ma l’avidità di un militare dalla faccia butterata (cara de piña) non ammetteva rinunce: voleva controllare ogni mercato. Alla fine del 1998 l’invasione Usa. Noriega si nasconde nella nunziatura vaticana,
poi si arrende. Un processo misterioso, senza pubblico: insomma l’imbarazzo per i segreti che Washington non vuole diffondere. Ancora non parla ma annuncia di farlo ecco perché gli Stati Uniti continuano a respingere chi lo vuole processare.

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   PINOCHET all’immagine del generale senza pietà aggiunge anche la fama di un ladro in guanti bianchi e tesori dispersi nelle banche del mondo. Aerei cileni di una compagnia del figlio del dittatore   (ingegnere Augusto Pinochet junior) animavano il girotondo armi e droga dell’Iran Gate (regia di Dimitri Negroponte, zar dello spionaggio Usa, protagonista Oliver North, pilota degli U2 spia). Per rifornire senza essere coinvolti i contras che assediavano il Nicaragua sandinista, gli Stati Uniti affidano al generale Pinochet l’organizzazione di uno strano girotondo: sui voli della compagnia Pinochet, sede California, vanno e vengono da Beirut
carichi di droga per il mercato mediorientale e tornano con armi russe da distribuire ai controrivoluzionari che assediano Managua.

   Droga e armi firmati Pinochet

   LE RICERCHE dei magistrati cileni hanno scoperto depositi milionari negli Stati Uniti, in Svizzera e nei paradisi dei Carabi. Pinochet non ha pagato la vergogna: è morto in tempo. Era un omino, non un gigante. Nell’ultimo discorso alla caserma O’Higgins balbettava con la voce sottile di una vecchietta. E quando ha provano ad urlare “Io ho fermato il comunismo” gli è mancato il fiato. Ma sono molti altri, gli autocrati e dittatori vivi e morti. Alcuni   in carica, altri già “in pensione”. È vivo Isayas Afewerki, incubo dell’Eritrea. Ha fatto sparire 11ministri,espulso le associazioni umanitarie. Lavoro forzato per chi non è sposato, suore e preti compresi.Ma gli affari li manovra come si deve in previsione della fuga. Contatti inoltre per la costruzione di un villaggio vacanze con Paolo Berlusconi. Qualche weekend nella villa del premier in Sardegna.

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   È morto SOMOZA non era solo il dittatore fuggito dal Nicaragua nel 1979: possedeva il 63 per cento delle grandi proprietà del paese. Il resto agli amici latifondisti. Quando il terremoto ha distrutto Managua con gli aiuti arrivati da ogni parte del mondo, Somoza costruisce alberghi per turisti in Guatemala e Florida.
Stroessner,dittatore del Paraguay, accoglie il suo esilio. Ma Somoza sfarfalla con le donne degli altri. Si invaghisce della fidanzata del ministro degli interni paraguayano il quale ordina di “non controllare” un commando arrivato dall’Argentina per vendicare i delitti di un protagonista della P2 amico dei militari di Buenos Aires: auto sgretolata da un colpo di bazooka. Stroessner massone casa e caserma, dopo la cacciata si spegne nella bellissima abitazione di Brasilia.
 
Sogno di ogni dittatore.

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  NAZARBAYEV autocrate del Kazakhstan, vuole vivere fino a 100 anni. Galleggia sul petrolio e finanzia una ricerca sull’allungamento della vita. Da segretario del partito comunista kazako (poltrona sulla quale era seduto Breznev) a “Primo presidente liberista dell’Asia centrale” appena cade il muro di Berlino, privatizza giornali, tv, oro nero, industria pesante a figli, figlie, generi, cognati.
Amico di Berlusconi il quale passa ogni tanto a trovarlo per invidia: per quel 92 per cento di preferenze che raccoglie da 20 anni, ma perchè anche interessato ai risultati della ricerca rivolta all’eternità. È vivo e ha solo 54 anni Ahmadinejad, paranoia dell’Iran senza libertà. Corruzione sussurrata, mai dimostrata. Eppure l’Iran sa bene come vanno le cose. Nel ’79 lo Scià ha lasciato Teheran con la fama dell’uomo più ricco del mondo. Ma l’infelicità lo raggiunge nel parco della villa di Cuernavaca, Messico. Il giornalista italiano, ospite di Maria Beatrice di Savoia, amica degli esuli, spia le passeggiate dello Scià dal muro di cinta che divideva le due case. E fotografa uno scheletro che stava morendo
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   I 30mila morti sulla  coscienza di Videla, piduista con Berlusconi

   CONTINUA l’autocrazia di Fidel Castro, mentre è finita nel 1997 la tirannia di Mobutu nel-l’ex Zaire (nome che imposte al paese) ora Repubblica del Congo. Un golpe nel 1965 contro il presidente Kasa- Vibu, il sostegno degli americani e un regime opprimente che impoverisce lo Stato. Fuggito in Marocco, muore di cancro nel 1997.
Vivo invece Videla, presidente della giunta militare dell’Argentina insanguinata. Si trascina da un processo all’altro aggrappato alla demenza senile che gli evita la galera e di pagare per i 30 mila ragazzi spariti. E i soldi nascosti chissà dove non possono consolarlo.
Maurizio Chierici

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