venerdì 30 luglio 2010

BERLUSCONI E LA COMUNICAZIONE EMOTIVA

Un aspetto spesso sottovalutato del Cavaliere è la dote innata di venditore. Montanelli diceva che è il miglior piazzista del mondo, ma pochissimi capirono al tempo la valenza di questo talento naturale, soprattutto se abbinato al potere mediatico di cui dispone. E’ però semplicistico affermare che chiunque disponendo a proprio piacimento di un tale potere possa far eleggere anche un pregiudicato al Parlamento: può darsi che ci riesca, ma da qui a raggiungere una maggioranza così schiacciante c’è una differenza abissale.

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Per meglio comprendere le strategie comunicative, è necessario fare una premessa di carattere sociale: gran parte delle popolazioni vive in una frenesia continua, la famiglia è spesso solo una scatola, un appartamento, perché nel quotidiano è frantumata da decine di impegni personali. Entrambi i genitori lavorano per riuscire ad arrivare a fine mese, in una marea di piccoli problemi. I giovani raramente si interessano attivamente di politica, spesso ragionano per stereotipi o simpatie/antipatie.
Ne conseguono due aspetti negativi e perniciosi: la televisione, che per la sua praticità d’uso è il media imperante, e sappiamo quanto essa sia manipolata e chi la controlla. Il secondo è ancora più triste, ma è il vero snodo che ci conduce alla rapida e inarrestabile ascesa del Cavaliere: il fascino della capacità comunicativa. La politica, in un paese a regime capitalistico avanzato come è tutto il blocco occidentale, Italia inclusa, è, né più né meno, un “prodotto”, come un pacco di spaghetti o una lavastoviglie.
Questo fondamentale assioma, che può non piacere ma di cui purtroppo però ne è dimostrata la valenza assoluta, e di cui bisognerebbe che tutta la classe politica comprendesse l’ importanza, è il cardine su cui ruota tutta l’attività propagandistica del Cavaliere. Spesso leggiamo da firme prestigiose ed intelligenti che la politica non è una partita di calcio, ma in questa affermazione è insito un errore, perché sappiamo benissimo che andrà al governo chi vincerà le elezioni, e le elezioni si vincono contando i voti.
Se a ciò si aggiunge pure il recente “porcellum” elettorale, abbiamo ben due poteri dello stato decisi dalle elezioni e dalle segreterie: legislativo ed esecutivo. Perché ciò che avviene non è un mistero, è solamente il risultato del sapiente e continuo rimarcare i punti cardine della strategia comunicativa, anche in contesti nei quali c’entra poco o nulla: ad esempio, il Cavaliere è solito evocare il comunismo e i comunisti anche quando c’entrano come i cavoli a merenda. In questo modo evoca il “nemico” contro cui combatte, e raccontando che è un nemico numeroso e ben armato, evoca l’ immagine dell’ eroe senza paura contro le soverchianti forze avverse. Non importa che sia tutto falso, ciò che conta è saperlo raccontare bene! Questo aspetto è largamente sottovalutato da parte di politici legati alle tradizioni ormai secolari della politica seriosa e sonnolenta.
Tanto per fare un esempio reale di linguaggio incomprensibile, cito una dichiarazione di Bersani, parole dette nel 2009, non decine di anni fa: “La mia paura è che ci sia uno scarto tra il barocchismo del percorso, lo stato dell’organizzazione e certe tensioni divisive. E’ una contraddizione che se non riusciamo a governare può farci non capire nel paese”. Speriamo ci sia riuscito, anche se almeno io non ho capito di cosa parlasse, quindi, poiché credo di far parte di questo paese, qualcosa non mi torna. Se anche il soggetto di tale astruso pensiero fossero le questioni interne del partito (il contesto era questo) o una manovra fiscale sulle arance, non fa poi tutto sommato una grande differenza, resta incomprensibile comunque. Sia chiaro però che il Cavaliere non ha inventato nulla, l’ applicazione di strategie di marketing alla politica sono note da anni in USA, semmai le ha solo adattate agli usi e costumi nazionali. Niente di nuovo quindi, solo la capacità di comprendere che ciò in termini di voti paga.
Volendo approfondire questo tema cruciale, è interessante leggere il recente libro di Daniele Luttazzi “Guerra Civile Fredda”, nel quale illustra una teoria, anzi, sarebbe meglio dire “un sistema” definito “la comunicazione emotiva”, secondo la quale, fissando alcuni punti precisi e sistematicamente evocati, si riesce a convogliare su di sé il consenso di soggetti sociali che, a ben vedere, non traggono alcun vantaggio a votare in quel modo, anzi, ne sono sfavoriti.
Questa strategia, definita dagli strateghi politici neocon negli USA, è stata ripresa abbastanza fedelmente dal Cavaliere. Raccontare bene una storia, anche se falsa, crea un rapporto diretto fra narratore e uditore, il quale resterà quantomeno incuriosito dal seguito della storia e parteggerà per l’eroe (il narratore) votandolo. Luttazzi illustra questo sistema articolandolo in 5 punti cardine della narrazione, ed è innegabile che il Cavaliere li abbia sfruttati nel corso degli anni a proprio vantaggio.
1. Grandi ostacoli da superare (i comunisti in senso generale, come ho scritto prima)
2. Le proprie debolezze (rendono il narratore umano quindi “simile”)
3. La volontà ferrea di raggiungere lo scopo (governare e vincere il nemico)
4. L’ unicità del protagonista (si veda il giornaletto che ci inviò a casa nel ’94)
5. Protagonista e antagonista devono essere opposti in modo estremo (rif. punto 1)
Ampliando solo il primo di questi punti della narrazione, sappiamo bene che ricorre ad una immagine ormai retorica ed obsoleta, visti gli accadimenti di questi ultimi 20 anni, ma non c’entra nulla: ottiene l’ effetto voluto perché definisce con un termine preciso “il nemico” da combattere, il male verso cui occorre opporsi, che si tratti di avversari politici, di magistrati (toghe rosse) o la poca opposizione mediatica rimasta: tutti etichettati comunisti.
Poco o nulla importa che questi nemici non esistano realmente, è invocarli insistentemente che fa passare il messaggio vi siano forze da cui bisogna difendersi, instillando una paura che nei fatti è solo illusoria e al contempo esalta la figura dell’ uomo solo che li combatte. Quindi, definire precisamente e con un “nome” semplice, evocativo e ben conosciuto il nemico verso cui combattere, paga. Le masse si chiederanno: se lo dice lui sarà vero, meglio prevenire il rischio. E lo votano.
Non potendo disporre del tempo necessario per approfondire, finiscono per credergli. Inoltre, poiché la storia è raccontata bene, non c’è nemmeno una forte volontà di cercare delle conferme esterne. Infatti i dati statistici europei indicano che siamo il paese col tasso di lettura dei quotidiani fra i più bassi nell’ EU: solo 110 cittadini su 1.000.
Va notato che anche altre forze fanno ricorso a queste tecniche, non solo il Cavaliere. Un esempio analogo a lui, è nella rapida ascesa dell’ IDV: Di Pietro non fa mistero di chi sia il suo nemico, lo combatte duramente ed infatti l’elettorato lo premia.
Analogamente la Lega agisce allo stesso modo, anche se in maniera più subdola, perché evoca la naturale e radicata “paura del diverso” che è insita in ciascuno di noi, anche del più antirazzista che si conosca. E’ parte della memoria atavica, qualcosa che ci portiamo dentro da decine di millenni. Sarebbe da condannare duramente questo vile approccio politico leghista, ma è di facile presa nelle menti a-culturate, e a costoro è difficile spiegare qualsiasi cosa.
Anche la creazione di un paese irreale e inesistente come la padania è funzionale alla narrazione, così come lo è il federalismo fiscale: entrambi sono punti cardine della storia e vengono costantemente evocati.
Altri esempi sono ben riconoscibili negli slogan elettorali: Prodi prometteva di ridurre il “cuneo fiscale”, mentre Berlusconi uscì con il clamoroso “aboliremo l’ ICI”.  Il primo sappiamo essere una importante leva economica per rilanciare l’ economia, ma nella massa elettorale nessuno sa cosa sia il “cuneo fiscale”, il secondo è un argomento falso, perché era già abolita per le classi meno abbienti, ma è chiarissimo e comprensibilissimo, quindi di formidabile impatto elettorale.
Sempre, ad esempio, giova ricordare che Bill Clinton ospitò alla Casa Bianca, la prima notte da presidente, proprio il suo stratega d’ immagine: un onore non da poco, ma giustamente tributato a chi in pratica gli consegnò le chiavi di quella casa.
L’ approccio innovativo, non nel senso stretto del termine, ma nell’ adattamento al panorama politico nazionale di strategie note, la capacità comunicativa e l’assurdo concentramento televisivo nelle sue mani, sono quindi valide chiavi di lettura per comprendere almeno in parte il successo elettorale del Cavaliere. Anche una banalità come il perenne sorriso nelle occasioni di esposizione mediatica, fa capire quanto egli sia devoto alle strategie di marketing.
Di questa capacità comunicativa ne è consapevole lui stesso, e questo porta inevitabilmente verso una deriva di culto della personalità che ci riporta agli anni più bui del secolo scorso. La strategia comunicativa è quindi, a conti fatti, determinante per raggiungere le masse e quindi la maggioranza.
Sarebbe auspicabile che l’ opposizione iniziasse ad approfondire adeguatamente queste tematiche, viceversa non riusciremo mai a liberarci da questo regime.
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Ci sono poi anche altri aspetti che concorrono in modo decisivo al raggiungimento del fine.
Il momento storico della nascita di FI è importante. Non so se si possa parlare di fortuna, di coincidenza casuale, o di un preciso calcolo politico. Personalmente propendo per la terza ipotesi. Era impossibile prevedere il momento esatto del crollo del blocco orientale, ed era altrettanto impossibile prevedere che una banale inchiesta di corruzione, facesse nascere Tangentopoli e tutto ciò che ha significato in termini di crollo dei partiti storici.
Fatto è che il Cavaliere era l’ uomo giusto, al posto giusto, al momento giusto, e con i mezzi adeguati alla bisogna. Ciò che gli mancava se lo poteva procurare rapidamente, aveva già i contatti in casa (Dell’ Utri e Mangano).
Per quanto riguarda sempre la cronologia degli avvenimenti in quello che potremmo chiamare il biennio buio, vorrei proporre una personale lettura di un fatto: l’ attentato a Maurizio Costanzo, il primo della stagione stragistica mafiosa fuori dalla Sicilia. Secondo quanto riferisce Ezio Cartotto, solo Berlusconi e Dell’ Utri erano a conoscenza di quanto lui stava organizzando. Lo stesso Cartotto rivela che l’ entourage del Cavaliere non era tutto compatto per la “discesa in campo”, anzi, Letta, Confalonieri, Costanzo, Ferrara ed altri si opponevano decisamente. In questo quadro, dove abbiamo un nucleo di falchi che porta avanti un progetto in segreto (di cui faceva parte Craxi) e una fronda di colombe che lo osteggiano, quanto è credibile il Cavaliere che ricorda “pianti sotto la doccia” “l’animo macerato dai dubbi” e “mi domandavo cosa dovevo fare”? Poco o nulla. Piuttosto è molto più sincero quando dice “diranno che sono mafioso”, anche perché non si capiscono le ragioni “al tempo” per un’affermazione del genere. Oggi invece è provato che ha fondato FI assieme ad un fiancheggiatore della mafia, oltre ad avere avuto in casa un mafioso conclamato per anni.
Quindi quale può essere la chiave di lettura per l’attentato a Costanzo (tessera n° 1819 P2)? Quella di mandare un nemmeno troppo velato messaggio alle colombe che, curiosamente, si sono rapidamente allineate al progetto politico. Un altro aspetto da non sottovalutare è la presenza sul territorio.
Questo adagio è forse fin troppo abusato, ma è una delle chiavi più importanti di lettura per capire come sia stata possibile una così rapida ascesa. La criminalità organizzata sa bene quanto è importante controllare il territorio, ed anche se questo è il lavoro per la bassa manovalanza, è su di esso che poggia la struttura superiore, verticistica se si tratta di mafia e camorra, zonale se si tratta di ‘ndrangheta. Se si potesse eliminare, l’ intera struttura crollerebbe, il problema è che si compone da centinaia di soggetti.
Allo stesso modo, il Cavaliere aveva già una struttura presente ed operativa: Publitalia. E’ bastato ridefinire gli obbiettivi e le strategie per avere immediatamente dei riferimenti in grado di contattare, convincere, riciclare personalità politiche vecchie ed emergenti e farle convergere ad un progetto che disponeva di soldi e appoggio mediatico, ovvero visibilità immediata.
Non esiste altro modo per controllare il territorio se non occuparlo fisicamente, e ciò vale in qualsiasi scenario. Questo dogma è assoluto e imprescindibile: le sedi periferiche sonoquindi fondamentali.
Prova ne è la Chiesa, che con parrocchie e preti ovunque sul territorio, è di fatto determinante per indirizzare una mole notevole di voti. Altre valide ragioni sono indubbiamente l’ affiliazione massonica, la spiccata attitudine a trattare con le criminalità organizzate e le concessioni fin troppo generose alla Chiesa, giunte alle indecenti dichiarazioni su Eluana Englaro.
Tutti poteri che hanno condizionato la vita politica del paese nella fantomatica prima repubblica, fantomatica nel senso che non ne vedo le differenze da quella attuale, e tutti poteri tradizionalmente reazionari, storicamente più affini alla destra che alla sinistra.
Renzo Campagna

3 commenti:

Anonimo ha detto...

ho gia commentato questo articolo sul blog casarrubea, mi sono iscritta a schiavi e servi, solo per sapere se Renzo Campagna è l'autore anche del blog, questo e di "oltre il muro" nonchè di "catone"

catone ha detto...

@Anonimo (Maria Grazia M......)
Ti ringrazio per la tua iscrizione al mio blog, ma devo però comunicarti che Renzo campagna non è l'autore di questo blog,nè tanto meno di "Oltre il muro". Di conseguenza non è neppure Catone. Un abbraccio

Anonimo ha detto...

volevola risposta alla mia triplice domanda di ieri sera. è possibile?

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