martedì 12 gennaio 2010

IL CONDOR VOLA ANCORA IN PARAGUAY

Il famigerato Plan Condor sarebbe ancora in corso. Parola di Martin Almada premio Nobel alternativo per la Pace

È vero: ad Asuncion, capitale del Paraguay, non ci sono molte cose da vedere. Pochi monumenti, pochi palazzi degni di nota, poco di tutto. Ma in Calle Cile 1066, a poche cuadras dal centro della città, c'è il posto meno conosciuto e più importante del Paese: il Museo della Memoria.

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All'apparenza sembra un posto come tanti altri. Una strada tranquilla, una palazzina pulita e ordinata, piante e fiori regalano colore a una facciata piuttosto anonima. In realtà la storia di Calle Cile 1066 fa accapponare la pelle. In questo luogo secondo alcune stime (non distanti dalla realtà e che forse si avvicinano più al difetto che all'eccesso) sono passati almeno tremila prigionieri politici, detenuti e torturati durante il periodo della dittatura di Alfredo Ströessner, sanguinario militare di origini tedesche, sostenitore del nazismo, che ha comandato il paese con il pugno di ferro per più di 35 anni. Da buona "colonia statunitense", come la definisce il professor Martin Almada, "il Paraguay si è sottomesso alla politica di Washington, che in tempo di Guerra Fredda puntava per prima cosa sull'anticomunismo. In Ströessner ha trovato un alleato fedele. Il Paraguay è uno dei tanti prodotti della Guerra Fredda".
"In queste sale sono passati civili innocenti provenienti dall'Argentina, dal Cile, dall'Uruguay e dal Paraguay, che la dittatura considerava sovversivi, comunisti o in qualche modo nemici" racconta Martin Almada, una delle figure più importanti del Paese, scopritore dell'Archivio del Terrore, ideatore del Museo della Memoria e, grazie ai documenti da lui scoperti, uomo chiave per la detenzione londinese del Generale Augusto Pinochet.
"In queste stanze si è praticata la tortura sistematica di tutte quelle persone, uomini e donne, che non si sono piegate a dire sempre sì" racconta ancora con le lacrime agli occhi Almada. La sua storia è un susseguirsi di arresti, fermi, torture e umiliazioni. "Mi consideravano un sovversivo. Ero solo un maestro che voleva riformare la scuola. Chiedevo migliori condizioni di vita per i maestri. Per la dittatura ero un comunista. Ma io comunista non lo sono mai stato. E nemmeno anticomunista. Io sono e resto un riformista".

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Strana storia quella di Calle Cile 1066. Nonostante il caldo atroce della città negli ultimi scampoli d'estate, non appena si varca la porta di ingresso del Museo un brivido freddo corre lungo la schiena. Manifesti appesi alle pareti riportano i volti di donne, uomini, ragazze e ragazzi desaparecidos. Scomparsi e mai tornati a casa. I manifesti sono come specchi che riflettono l'immagine di chi li guarda per ricordare che tutti possono soccombere davanti a una pazzesca dittatura. Le stanze del Museo sono piccole e ognuna di loro ha un pavimento di colore differente. "Io le ho riconosciute subito proprio dai differenti tipi di colore: qui sono stato imprigionato e torturato per diverso tempo. Non solo. Nella stanza dove ci troviamo - venti metri quadrati con il pavimento di color verde- si violentavano e poi torturavano le donne". E se i muri potessero parlare chissà cosa avrebbero da raccontare. In questa palazzina è passato il non plus ultra della violenza fascista della dittatura stroessneriana. E anche i militari più sanguinari degli eserciti e delle polizie di quasi tutti i paesi del Sudamerica. Racconta ancora Almada: "Gli ufficiali che hanno compiuto queste azioni indecenti erano stati prima alla Escuela de las Americas, a Panama, e sono stati istruiti sui differenti tipi di tortura dagli ufficiali della Cia statunitense. Anche in queste stanze sono giunti più volte militari nordamericani per umiliare, torturare e uccidere tutte le persone che il governo paraguayano considerava pericolose, scomode, sovversive".
"Anche mio padre è stato torturato in questo luogo", sussurra davanti alla porta del Museo Epifania Arias, figlia quarantenne di un insegnante, detenuto nei primi anni Settanta della dittatura. "Ci sono cose che non si possono dimenticare. Grazie al lavoro di Almada abbiamo saputo che in questa palazzina sono avvenute efferatezze che ancora oggi stentiamo a credere siano potute accadere. Gli inquilini degli edifici circostanti, sono stati in molti casi costretti a trasferirsi in altri quartieri della città, perché non potevano più sopportare le grida di dolore di quei poveri ragazzi causate dalle torture degli assassini di Ströessner.

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E tutto con il beneplacito della Cia. Oggi sappiamo chi ha istruito i militari del Paese. Ecco, queste sono storie che vale la pena raccontare". Occhi lucidi e sguardo fiero, Epifania si accende una sigaretta dietro l'altra e cerca di capire i perché di tanta violenza.
"È stato uno dei periodi più bui della storia dell'umanità" dice Marela Oviedo, anche lei erede di uno dei tanti uomini torturati dalla brutalità dei militari paraguayani, mentre passeggia quasi in punta di piedi fra teche contenenti strumenti di tortura, fotografie, liste di nomi di quelli che non ci sono più. È arrivata fino al Museo da sola e non è la prima volta. "Mio padre in questo posto maledetto dal Signore ha passato un po' di tempo. Era l'uomo più buono del mondo. Aveva le mani grandi e un bel sorriso. Quelle bestie lo consideravano un sovversivo. Per questo l'hanno imprigionato, umiliato e torturato senza pietà. Era semplicemente un insegnante di scuola primaria. È vero aveva una certa cultura e aveva la passione della lettura. Leggeva tutto, proprio di tutto, quando riusciva a comprare qualche libro. Forse per questo motivo è stato considerato un sovversivo. Essere colti per il potere è pericoloso. Avere la possibilità di insegnare lo è ancora di più. Ancora oggi non riesco a capire il perché di tanta ferocia. Mio padre grazie a Dio è riuscito a tornare a casa. Ma era stato per troppo tempo in condizioni disumane. In celle di due metri per uno e mezzo, con quaranta, cinquanta altri detenuti, mangiando le proprie feci e bevendo urina. Gli applicavano gli elettrodi ai testicoli per torturarlo. Quattro giorni dopo la sua liberazione, avvenuta per chissà quale motivazione, morì fra le peggiori sofferenze. Di storie come questa ne potrei raccontare a decine. Se penso che mi trovo nello stesso inferno in cui lui sapeva che avrebbe detto addio alla sua vita mi sento male", continua Marela. Quando parla i suoi occhi diventano lucidi per la commozione. Le mani iniziano a tremare, poco ma tremano. La voce ogni tanto si spezza. Anche i capelli, corvini e lisci, sembrano vibrare sulle sue piccole ma larghe spalle. Marela è visibilmente emozionata. È difficile per lei capire. È altrettanto difficile cercare di spiegare quello che è stato il Paraguay della dittatura. Un governo militare supportato, aiutato e istruito dalla Cia, che nel piccolo Paese sudamericano ha fatto il bello e il cattivo tempo per anni.

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Per i propri interessi, per la sua lotta personale al nemico russo. "Un giorno nelle campagne intorno alla città di Coronel Oviedo - dice Mariela, che ci tiene a raccontare un'altra storia - dove sono nata e dove vivevo con la mia famiglia, i militari cileni insieme a quelli paraguayani fermarono un campesino. Lo picchiarono quasi a sangue accusandolo di fare propaganda marxista. Lui non sapeva né leggere né scrivere. Lo conoscevo bene. Dopo averlo quasi ammazzato lo spogliarono e lo legarono a un albero. Gli cosparsero il corpo con miele e succo d'arancia. Lo lasciarono lì, legato per giorni e morì mangiato vivo da formiche, api, topi e chissà cos'altro. Questo lavoro facevano i militari del famigerato Plan Condor".
"Tutti i sabati venivano i torturatori - racconta Almada dalla stanza delle conferenze del Museo - venivano a distrarsi dalla settimana lavorativa. Come se fosse un gioco ci torturavano per farci confessare cose che non sapevamo. Ero detenuto in quello che avremmo chiamato il sepolcro dei vivi: chi entrava in questo commissariato non ne usciva con le sue gambe. Noi detenuti avevamo stampato nella mente come un tatuaggio i volti dei militari che ci torturavano, ma non conoscevamo i loro nomi. Usavano pseudonimi. Però un giorno le cose cambiarono. Venne arrestato un commissario di polizia il cui figlio, studente universitario in Argentina, era considerato un sovversivo a causa della sua adesione alla confederazione degli studenti universitari. Lo arrestarono perché lui non aveva fatto sapere agli alti comandi militari delle azioni del figlio. Lo spedirono in cella con noi, come un nemico della patria. Da quel momento non godeva più dei privilegi e dei diritti dei militari. Da quel momento era uno di noi. Lui conosceva tutti i soldati torturatori. Sapeva i loro nomi, quelli veri. A lui un giorno chiesi due cose: come morì la mia sposa, visto che a me avevano detto che si era suicidata. E poi volli sapere che cosa stava succedendo nel mio Paese. Chiesi perché in Paraguay mi torturavano militari stranieri. La sua risposta fu allo stesso tempo atroce e illuminante: siamo fra gli artigli del Condor. Era l'aprile o il maggio del 1975. Iniziavo a scoprire che cosa fosse il plan Condor".

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Il plan Condor, però, iniziò a operare a pieno regime nel novembre 1975, alcuni mesi dopo le domande di Almada. "Ho scoperto il Condor prima che iniziasse a operare, a volare. Sono stato nel suo ventre e l'ho conosciuto da dentro".
Il plan Condor: un'impressionante operazione di polizia creata dalla Cia, tendente a destabilizzare tramite colpi di Stato militare, i governi dei paesi centro e sudamericani che tendevano a "sinistra" o potessero in qualche modo essere influenzati dall'Unione Sovietica. Le polizie di Uruguay, Paraguay, Cile, Argentina, Bolivia, Perù e Brasile cooperavano e avevano libertà di movimento e licenza di uccidere. Uno dei suoi più grandi sostenitori fu il repubblicano statunitense Henry Kissinger, "il più grande terrorista della storia" dice Almada. Ma il plan Condor ebbe un respiro molto più ampio, sono in molti a sostenerlo. Tracce delle piume del Condor si possono ritrovare anche in diversi paesi europei. Anche in Italia dove la loggia massonica Propaganda 2 (P2), invischiata in molti processi penali per le sue attività illegali, fu una fervida sostenitrice del piano. E c'è chi sostiene che gli aderenti al Condor, perfettamente organizzati, siano stati in grado di dare supporto logistico ai più smaliziati killer, faccendieri, narcotrafficanti, di diverse nazionalità e anche alcuni esponenti di spicco degli anni bui del terrorismo italiano. Molte informazioni su quegli anni adesso si possono reperire, grazie al lavoro di Almada, all'interno dei faldoni dell'archivio del terrore venuto alla luce nel 1992 grazie alla perseveranza del gruppo di lavoro di Almada e conservati nelle stanze del Palazzo di Giustizia di Asuncion. Migliaia di rapporti militari pieni di informazioni sulla "Guerra Fredda" in piena attività in quel periodo, e tutti i documenti della repressione in Paraguay dal 1929 al 1989. E nei rapporti si trova proprio tutto dice Almada: "In particolare la repressione contro gli anarchici italiani, spagnoli e francesi presenti nel Paese. Poi quella nei confronti dei comunisti. Poi il turno dei socialisti. E infine quella contro le persone come me, considerate sovversive. Ma la cosa che più ci ha più stupito è stato scoprire i documenti che riguardavano la presenza in Paraguay di Menghele, il dottor morte della Germania nazista di Hitler, e le connessioni con il nazismo. È l'enorme documentazione del Plan Condor. Secondo gli accordi, ogni Paese che ha aderito deve avere un archivio "Condor". Proprio per questo, quando i militari brasiliani, cileni, argentini e uruguayani, dicono che non hanno un archivio di questo tipo stanno mentendo. Lo devono avere sicuramente. Forse migliore del nostro".
Tutto il lavoro di ricerca è iniziato con una mobilitazione di Amnesty International che ha permesso la liberazione di Almada da parte del regime e un rocambolesco ingresso nella mal controllata ambasciata panamense a Asuncion. "Ho approfittato del fatto che i militari paraguayani che circondavano la sede diplomatica di Panama erano ubriachi e io sono riuscito a entrare, ottenere l'asilo politico e in seguito un lavoro a Parigi alle Nazioni Unite. Ma mi ero ripromesso di indagare sul Condor e di seguire il consiglio che mi aveva dato il commissario detenuto con me nel sepolcro dei vivi: leggere la rivista della polizia del Paraguay. Lì avrei trovato molte delle informazioni sul plan. Scoprire cosa era successo e i nomi di quelli che mi avevano fatto del male". Fino alla definitiva scoperta anche dei luoghi di detenzione illegali presenti nel Paese, alcuni con storie impressionanti. "Una nonnina, una volta rientrato in Paraguay, mi ha detto che in un terreno vicino a quello in cui lei viveva, usato dai soldati come luogo di detenzione illegale, di notte si sentivano le grida delle anime in pena dei ragazzi torturati. E si potevano riconoscere anche le cadenze e capire se fossero argentini, cileni, paraguayani. Uno di loro, quello che più soffriva, secondo la nonnina era cileno".

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All'inizio gli investigatori paraguayani della squadra di Almada credevano che il Condor avesse in America Latina come unico referente Pinochet. Ma si sbagliavano: "Oltre a Pinochet che voleva ripulire dai comunisti la politica, l'esercito e la società civile, in Bolivia c'era Banzer che aveva ideato un piano per sterminare i "comunisti" presenti all'interno della chiesa cattolica. Suore, sacerdoti, vescovi e arcivescovi considerati o legati alla Teologia della Liberazione venivano sterminati secondo un piano ben preciso. Talmente perfetto che venne esportato in tutto il Sudamerica. Io sono convinto- conclude Almada- che il sistematico accanimento e gli omicidi degli appartenenti alla chiesa cattolica avvenuti in Sudamerica facciano parte di un unico piano: quello di Banzer". E si rammarica del fatto che la Chiesa abbia concesso i funerali cristiani al famigerato generale boliviano "regalandogli a tutti gli effetti un passaporto per il paradiso".
Martin Almada oltre a essere un punto di riferimento per i giovani del Paese che fanno a gara per intervistarlo e creano lunghe code lungo i corridoi del Museo, è un convinto sostenitore del fatto che il Plan Condor esista ancora oggi. "Ci sono documenti in mano ai giudici in cui un colonnello dell'esercito del Paraguay racconta dell'incontro fra Pinochet e Menen avvenuto nel novembre 1995 a Bariloche in Argentina, dove si scambiarono la lista dei 'sovversivi dei rispettivi paesi'. Lo stesso colonnello dice che la testa del Condor sarebbe la Conferencia del ejercito americano, un apparato militare creato dalla Cia e dal Pentagono, soprattutto per contrastare la rivoluzione cubana. Il Condor vola ancora, e sono convinto che non sia finito con la morte di Pinochet. Si è globalizzato con il lavoro di George W. Bush. La riprova sono i centri di detenzione segreti presenti nel mondo, e anche in Europa. Non mi invento nulla. Usano anche le stesse tecniche di tortura, gli stessi mezzi, le stesse modalità. Come il waterboarding - la tremenda tecnica di simulazione di annegamento che Almada e molti altri hanno subito nel sepolcro dei vivi- che appunto oggi è globale. Lo ripeto: il Condor continua a volare e bisogna in tutti i modi tagliargli le ali".

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La dittatura in questo Paese incastonato fra Brasile, Argentina e Bolivia, ha lasciato segni indelebili come marchi a fuoco sulle cosce dei cavalli. Dolorosi e impossibili da cancellare.

Alessandro Grandi

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