Per più di tre anni hanno ignorato il decreto di omologazione firmato nel 2005, dopo 26 anni di battaglie legali, dal presidente Luiz Ignacio Lula da Silva, continuando ad espandere le loro piantagioni, aumentando la superficie delle ‘fazendas’ abusive, rispondendo con la forza ai tentativi di sgombero da parte della polizia, erigendo barricate, incendiando ponti, lanciando bombe artigianali contro i villaggi indigeni.
Ora, “in via immediata”, centinaia di coltivatori di riso (‘arrozeiros’) e contadini illegali dovranno lasciare Raposa/Serra do Sol, la terra abitata da 15.000 nativi Macuxi, Wapixana, Ingarikó, Patamona e Taurepang, “senza opporre resistenza”.
Dopo una serie di rinvii, il Supremo Tribunale Federale brasiliano ha votato a favore del mantenimento di Raposa “in area continua” – e non “a isole”, come avrebbero voluto i settori anti-indigeni dello stato amazzonico di Roraima per poter continuare a sfruttarne le risorse – riconoscendo i diritti dei nativi, sanciti peraltro dalla Costituzione del 1988.
Una ‘vittoria’ attesa per lunghi anni - il processo di demarcazione del territorio era cominciato nel 1977, per poi arenarsi in una lunga scia di violenze - costellati di continui attacchi contro le popolazioni locali, concepite come un ostacolo agli interessi degli occupanti bianchi che hanno invaso Raposa, devastato la foresta, impiantando risaie e altre coltivazioni intensive, contaminato i fiumi, scavato il suolo per estrarne i minerali, sempre sostenuti dal governo locale.
Nel 2005, la firma di Lula, che avrebbe garantito agli indios il diritto al possesso permanente e all’usufrutto esclusivo delle risorse, era stata accolta dai nativi in un clima di festa: sul fronte opposto, in un clima di tensione crescente, le autorità locali da sempre favorevoli alla presenza dei bianchi avevano tentato l’ultima carta appellandosi al Supremo Tribunale che, alla fine, ha ratificato l’omologazione.
Con un verdetto destinato a fare giurisprudenza, l’alta corte ha però fissato 19 condizioni che dovranno essere osservate per qualsiasi altra demarcazione di aree indigene, una sorta di ‘statuto’ contenente anche aspetti controversi.
Viene confermato che l’usufrutto delle ricchezze del suolo, di fiumi e laghi, da parte degli indios, sia “relativo” e soggetto “al rilevante interesse pubblico dell’Unione”; un usufrutto che in ogni caso non riguarderà le risorse idriche ed energetiche, né le esplorazioni minerarie che dipenderanno dall’autorizzazione del Congresso nazionale. E’ però consentita l’installazione di basi militari, la presenza di forze armate e polizia “indipendentemente dalla consultazione delle comunità locali”, la costruzione di strade, il libero transito di visitatori.Per ora c’è aria di vittoria a Raposa, dove tra canti e riti propiziatori da giorni si attendeva la sentenza.
Oggi è un giorno di festa.
Brasile: Indios e terra, breviario di diritto indigeno
La sentenza emessa ieri sulla terra indigena Raposa Serra do Sol farà discutere ancora per molto, ma cos’è esattamente l’omologazione di un territorio indigeno e quale iter burocratico precede il decreto?
Per definire un’area indigena, la legge brasiliana prevede diverse tappe.
- La prima consiste in una missione sul terreno: un team di etnologi e altri funzionari del governo si reca nel luogo in cui risiede una comunità autoctona per valutare il numero dei suoi componenti e accertarne l’effettiva residenza e l’occupazione tradizionale del territorio.
- La commissione si pronuncia quindi in un documento – denominato “Laudo antropologico” - in cui vengono riconosciuti formalmente i diritti della comunità nativa su quel determinato territorio.
- Sarà poi il ministro di Giustizia, sulla base dello stesso documento, a decretarne la demarcazione. A partire dalla data del decreto di definizione dei limiti del territorio autoctono – la “Portaria de demarcação” – si apre un periodo di tempo per eventuali contestazioni di persone o organismi che si sentissero danneggiati dalla decisione del ministero di Giustizia.
- In caso di contestazioni, il contenzioso viene deferito alla magistratura; altrimenti i tecnici della Funai (Fondazione nazionale degli indios, organo governativo), procedono a tracciare materialmente l’area destinata ai nativi (“Demarcação física”).
- Il penultimo passo è il decreto di omologazione che deve essere firmato dal capo dello Stato e successivamente trascritto nell’Ufficio del Registro dei beni immobili.
“La terra omologata appartiene comunque all’Unione e non agli indios, come insistono nel sostenere i loro avversari” sottolineano fonti locali contattate a Roraima. La Costituzione federale del 1988 afferma infatti all’articolo 20 che ‘Sono beni dell’Unione (…) le terre tradizionalmente abitate dagli indios’.
Nella sezione VIII, all’articolo 231, si precisa: ‘Sono riconosciuti agli indios la loro organizzazione sociale, i costumi, lingue, credenza e tradizioni, e i diritti originari sulle terre che occupano tradizionalmente; spetta all’Unione definirne i limiti, proteggerle e farne rispettare tutti i beni’.
I sette comma successivi stabiliscono, tra l’altro, che le terre tradizionalmente occupate dagli indios sono destinate al loro possesso permanente, con diritto all’usufrutto esclusivo delle ricchezze del suolo, dei fiumi e dei laghi in esse esistenti.
Lo sfruttamento delle risorse idriche, comprese le loro potenzialità energetiche, la ricerca e l’estrazione delle ricchezze minerali nelle terre indigene possono essere realizzati solo con l’autorizzazione del Congresso Nazionale, udite le comunità indigene interessate, a cui è assicurata la partecipazione nei risultati dello sfruttamento.
Le terre indigene sono inalienabili e non possono essere usate per altri fini; i diritti su di esse non possono cadere in prescrizione.
2 commenti:
Letto e considerato. Io sto con gli Indios.A loro va la mia solidarietà affinchè abbiano la forza di resistere al potere centrale. Grazie per la visione del post
Bravo ... grazie !
Ciao.
Sill
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