giovedì 27 settembre 2012

AMERICA LATINA: MINERALI, LA NUOVA CORSA ALL’ORO SEMINA CONFLITTI

Fino a pochi anni fa, l’industria mineraria ricopriva un ruolo secondario in America Latina.
Aveva perso peso anche in paesi minerari come la Bolivia, dove lo scorso mercoledì un minatore è rimasto ucciso in uno scontro per la “presa” del giacimento di stagno di Colquiri. Ma dal 2004, con l’entrata in scena della Cina in cerca di materie prime per le proprie industrie, i prezzi di oro, argento, rame, nichel, zinco e ferro sono decollati, raggiungendo cifre record. È allora che sono iniziati i conflitti.

clip_image001

Le compagnie minerarie, per lo più multinazionali, accelerano i progetti di esplorazione e produzione nella regione; i governi pretendono quoto maggiori; i dipendenti delle aziende protestano per aumenti salariali; i minatori indipendenti e le cooperative vogliono sfruttare maggiori porzioni di territorio; i residenti sono sul piede di guerra per l’impatto ambientale che hanno i giacimenti a cielo aperto, assai più produttivi di quelli sotterranei. In tutta l’America Latina si registrano 161 scontri tra questi attori.
I più agguerriti sembrano proprio essere i cittadini: fedeli allo slogan “l’acqua vale più dell’oro”, almeno 212 comunità si oppongono a 173 progetti minerari, per la realizzazione dei quali chiedono di essere consultati. È in Perù che si concentra la maggior parte dei conflitti, ben 28. Giovedì le forze dell’ordine hanno rimosso un blocco stradale sul tragitto verso la miniera d’oro della canadese Barrick. Nei disordini un manifestante è stato ucciso. In Perù, dal luglio 2011, quando Ollanta Humala ha assunto la presidenza del paese, sono morte 19 persone per le proteste legate allo sfruttamento delle risorse naturali.
La resistenza contro le miniere e cielo aperto hanno portato alcune aziende a sospendere i progetti in Perù ed anche in Argentina, dove quest’anno la Corte Suprema ha ratificato la validità di una legge che vieta l’estrazione mineraria e petrolifera nelle zone che presentano ghiacciai. I conflitti minerari per questioni ecologiche si estendono in quasi tutta la regione, in 16 paesi. In Costa Rica dal 2010 sono state messe al bando le miniere a cielo aperto.
Tra il 1990 e il 2003, il settore minerario rappresentava il 3.9% del PIL della Bolivia; tra il 2004 e il 2009, il 5.7%, secondo la Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (Cepal) dell’ONU. Nella decade 1990-2009, in forte aumento anche in Cile, dal 7.7% al 17.7% (il dato include il settore degli idrocarburi); in Ecuador, dal 6.9% al 14.7%, e in Perù, dal 4% all’8.5%. L’America Latina produce il 52% dell’argento mondiale, il 45% del rame e il 22% dello zinco.
I governi nazionali, provinciali e municipali trattano con le imprese minerarie l’ammontare delle imposte. I politici di sinistra non rifiutano le miniere a cielo aperto, chiedono semplicemente maggiori tributi. Raramente queste dispute si concludono nel sangue, al contrario di quelle tra imprese e proprietari delle terre. In crisi la cosiddetta minería ilegal, senza autorizzazione governativa, soprattutto in Perù e in Brasile.
In giugno, il Governo di Evo Morales aveva ufficialmente revocato la concessione della miniera di stagno di Colquiri, nel sud del paese, alla compagnia privata Sinchi Wayra, filiale della svizzera Glencore, e nazionalizzato i suoi macchinari e attrezzature. Da allora Colquiri, 300 km a sud di La Paz, è stata oggetto di scontri tra minatori privati, raggruppati in cooperative e che godono dell’appoggio di Morales, e statali, raggruppati nella Corporación Minera de Bolivia (Comibol). In palio, la licenza mineraria del centro.
Fonte

Nessun commento:

LinkWithin

Blog Widget by LinkWithin