mercoledì 21 settembre 2011

MIGRANTI RECLUSI: QUANDO LA PRIGIONE DIVENTA MANICOMIO

clip_image002Foto Flickr su licenza CC

“Vogliamo sottolineare che la situazione dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa è totalmente inaccettabile. Per quanto riguarda le condizioni dei pazienti detenuti e le procedure seguite nella loro contenzione fisica, abbiamo osservato trattamenti inumani e degradanti”.
Purtroppo sì. È questa la cruda realtà degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in Italia. Una verità sconcertante, accertata nel settembre 2008 e debitamente documentata nellaRelazione del Comitato di Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa, rivelata in seguito al sopralluogo effettuato nell’OPG di Aversa (NA). Il Comitato ha accertato che si tratta di tortura!
Nulla di nuovo. Le istituzioni nazionali erano in realtà al corrente da tempo della gravità della situazione. In data 1 aprile 2008 veniva emanato, al fine di regolamentare la materia, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entrato in vigore il 14 giugno 2008, che sanciva il passaggio dellafunzione sanitaria in tutti gli Istituti Penitenziari (adulti, minori e OPG) dal Ministero della Giustizia a quello della Salute. Ed è proprio questo il nodo fondamentale dell’intera vicenda. Il riconoscimento normativo come luogo di cura, e non come centro di detenzione. Ma a  distanza di tre anni dall’emanazione del decreto, la normativa vigente è rimasta completamente inattuata.


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“Le condizioni igienico-sanitarie, organizzative e clinico – psichiatriche degli OPG risultanogravi e inaccettabili e presentano un assetto strutturale assimilabile al carcere o all’istituzione manicomiale”.
È questo il risultato della Relazione della Commissione di inchiesta del Senato della Repubblica presieduta dall’onorevole Ignazio Marino. Una delegazione della Commissione ha avuto accesso, senza alcun preavviso, presso i sei OPG distribuiti su tutto il territorio nazionale, rilevando la palese inadeguatezza dell’approccio terapeutico utilizzato e  la cronica carenza di personale. Mancano gli infermieri ed ogni ospite ha in media trenta minuti al mese di colloquio con lo psichiatra. Praticamente, un lasso di tempo ininfluente per aspirare a un benché minimo segnale di miglioramento psichico.
Gli ospiti di questi “centri di detenzione”, autori nel 30% – 40% dei casi di piccoli reati, soffrono oltremodo per gli errori del passato. A causa della loro infermità mentale non possono essere ospitati nelle ordinarie strutture carcerarie, dovendo pertanto scontare l’alternativa misura di sicurezza presso gli OPG. A differenza della pena carceraria (commisurata alla gravità del reato), la misura di sicurezza è prorogabile, di norma, di sei mesi in sei mesi. Alla scadenza della stessa il Giudice valuta la pericolosità sociale del soggetto. E nella maggior parte dei casi, la cronica carenza di strutture intermedie o di reparti specializzati al trattamento della malattia mentale scatena un sistema vizioso di proroghe sistematiche, svincolate dallo stesso concetto, quanto mai dilazionato, di pericolosità sociale. E l’assenza di un adeguato percorso terapeutico all’interno della struttura limitadrasticamente le possibilità di reinserimento sociale, con evidente violazione della “funzione rieducativa della pena” prevista  dell’art. 27 Cost. Si compie in tal modo, con estrema crudeltà, la condanna all’ergastolo bianco!
A pagare il prezzo più alto per questo esasperato ricorso alle misure di sicurezza sono sempre più spesso cittadini stranieri extracomunitari, i deboli tra i deboli, nei confronti dei quali non viene garantito l’accesso ai diritti previsto per i cittadini italiani. Alla base di questa discriminazione vi sono certamente scelte di politica di repressione e di “gestione discrezionale” del fenomeno dell’immigrazione, senza dimenticare quella strutturale incapacità istituzionale di predisporre un equo sistema di tutela dei diritti fondamentali di ogni individuo. Una volta entrati in contatto con quest’atroce realtà, i migranti reclusi sono costretti a subire una serie interminabile di soprusi e discriminazioni. Innanzitutto perché il loro diritto alla difesa incontra numerosi ostacoli formali e sostanziali (in primis per chi vive in Italia come immigrato irregolare), senza trascurare le evidenti difficoltà linguistiche, di comunicazione e di scarsa conoscenza del sistema giuridico italiano, oltre all’impossibilità di attivare, a causa delle insufficienti risorse economiche, quei meccanismi di tutela previsti in caso di evidenti errori giudiziari.
La stessa Commissione di inchiesta del Senato ha accertato, in seguito a perizie psichiatriche, che tra i 1500 ospiti presenti nei sei OPG ben 376 sarebbero soggetti non pericolosi, quindi “dismissibili” e trasferibili in case–famiglia o Dipartimenti di salute mentale.
La situazione, purtroppo, allo stato attuale, non presenta novità significative. Questi centri, autentici “contenitori di follia”, sono una vera e propria discarica sociale, un posto in cui rinchiudere i dimenticati. Stanze sovraffollate, condizioni igienico-sanitarie disumane, uso sconsiderato di psicofarmaci, letti di contenzione sui quali legare per giorni e giorni, nudi e senza assistenza, gli ospiti più esagitati del centro. A vigilare, nessun infermiere, nessun medico, soltanto le guardie carcerarie.
Nonostante siano trascorsi oltre trent’anni dalla storica “Legge Basaglia” che sanciva la chiusura dei manicomi e la contestuale regolamentazione del trattamento sanitario obbligatorio, il superamento della logica manicomiale è ancora lontano dalla piena ed effettiva attuazione.  L’approccio repressivo èindubbiamente  antiterapeutico e lesivo dei diritti umani, rappresenta un crimine istituzionale che annienta completamente l’individuo e distrugge la sua mente, per sempre, solcando la memoria di tracce indelebili, intrise di una sofferenza infinita.
“L’ennesimo fatto increscioso” sentenzieranno i soliti noti, non tanto per i diritti umani ancora una volta violati quanto per alimentare quella perenne, quanto mai fittizia , condizione di costante e forzata indignazione. E, peraltro, svincolata, sistematicamente, da necessari interventi risolutivi.
E uno stato di finta incredulità, smascherato da una toccante testimonianza di un detenuto migrante, intervistato, durante i sopralluoghi, da una delegazione della Commissione d’inchiesta del Senato: “Io vengo dai Paesi di guerra, non riesco a capire…tra la democrazia vostra e la nostra…non capisco qual è la differenza…la differenza è che qui ti uccidono piano piano”.




Ermanno Serratì
Ermanno Serratì, consulente legale con una grande passione per ogni forma di espressione artistica, è coinvolto in attività associative a sostegno dei migranti e segue temi legati ai diritti umani.

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