venerdì 9 aprile 2010

LA SALADA, MECCA DELLE MERCI CONTRAFFATTE

L’autista grugnisce l’importo, due pesos, e fa cenno di prendere posto in fretta. Il sedile è foderato di nulla, senza più plastica né imbottitura. L’autobus è sgangherato, niente targa né illuminazione interna. Non c’è un orario, si parte quando è pieno. All’1,30 di notte, dopo quaranta minuti di attesa, lasciamo l’inquietante piazzale, buio, coperto di detriti, situato all’estrema periferia di Lomas de Zamora, 50 chilometri da Buenos Aires. Destinazione La Salada, il più grande mercato illegale dell’America Latina. Aperto solo due notti alla settimana, il mercoledì e il sabato.

È la Meca del trucho, la Mecca delle merci taroccate. Qui è tutto contraffatto. Un giro d’affari gigantesco, 6,6 milioni di euro alla settimana, 7mila persone occupate e 20mila bancarelle.

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1 de 1 Miles de puestos ofrecen prendas de "marca": productos falsos que generan ganancias de US$ 9 millones por semana Foto:Emiliano Lasalvia

Ogni sabato notte arrivano 50mila “pelligrini”, persino da Brasile e Paraguay. A nessuno di loro importa che l’Unione europea abbia definito il luogo «emblema mondiale del commercio falsificato».
Lacoste a quattro euro, scarpe Nike a cinque, un paio di Levi’s a sette euro. Poi dvd, materiale elettronico, componentistica per auto, mobili, orologi Rolex, abiti Yves Saint Laurent, borse di Gucci, sexy shops, ragazze e ragazzi, armi e droga. Bar e ristorantini. Non manca niente. È il trionfo della “legge di Say”: ogni offerta crea la sua domanda.
Alla Salada va in scena la peggior integrazione possibile tra un trafficante di stupefacenti, un padre di famiglia che acquista abbigliamento per i suoi figli e un negoziante al dettaglio che compra qui e rivende in uno dei trecento mercatini diffusi nell’area metropolitana di Buenos Aires.
«Guarda che meraviglia queste scarpe, le porto a casa per 60 pesos, in città costano 400 e non me le potrei mai permettere». L’entusiasmo di Soledad, 24 anni, commessa, è difficile da contenere e questo non è il luogo adatto per intavolare una conversazione sui problemi che genera la contraffazione. Si può solo constatare che sradicarla è davvero difficile. Il fantomatico señor Jorge Castillo viene indicato come il vero proprietario de La Salada. Stabilisce regole, impone quote, spartisce proventi. Attorno a lui un solidissimo muro di omertà e oscure complicità. Alla polizia pubblica viene impedito di entrare.
Il governo del mercato è in mano alla sicurezza privata, ai Rambo autoaccreditati e ai luogotenenti di Castillo. Il business è anche la massima espressione dell’impunità che regna attorno al fenomeno della contraffazione. Diego Farreres, direttore del dipartimento di antipirateria di Louis Vuitton, una delle griffe più copiate al mondo, parla chiaro. «Questo è il crimine del XXI secolo, vi sono enormi margini di guadagno e la gente che acquista ignora che dietro al falso ci sono lavoro nero, sfruttamento minorile, lavaggio di denaro sporco e spesso condizioni di lavoro in semischiavitù». Oltre alle migliaia di acquirenti ci sono centinaia di operatori, uomini-cavallo che trascinano carri, carretti, carriole. Hernan, boliviano di 22 anni, sguscia esausto tra i budelli, le corsie strette tra le fila di bancarelle. Quanto ti danno? «Cinquanta pesos (nove euro) per tutta la notte di lavoro». Consegna, ritira, sposta, trascina. Merci, merci e ancora merci.
Poi, come dal nulla, sbuca Gustavo, puntuale all’ora del nostro appuntamento. Lui è uno dei luogotenenti del señor Castillo e accetta di scambiare qualche battuta. Un anello vistoso, i capelli castani sulle spalle, una tuta Adidas blu. Stringe tante mani, è cordiale. Va dritto al punto: «Cosa avete contro La Salada? È un mercato popolare, tutti sanno che le griffe confezionano i loro abiti in orrende sartorie clandestine, dove immigrati illegali di Bolivia e Paraguay lavorano 16 ore al giorno». E qui non è tutto clandestino? «Dietro ogni bancarella c’è un’impresa familiare che consente ai meno abbienti di accedere ai beni di prima necessità, come i vestiti». Una difesa d’ufficio di un addetto ai lavori, ma ciò che sorprende è che La Salada annoveri difensori anche tra gli economisti. L’opinione diffusa è che l’espulsione di molti lavoratori dai cicli produttivi le conferisca lo status di mercato del lavoro “frizionale”, capace di tamponare la disoccupazione. E al tempo stesso è l’unica opportunità di acquisto per chi non ha risorse per entrare in un negozio vero.
Purtroppo è così, il fenomeno ha raggiunto dimensioni tali da generare un dibattito, con tanto di favorevoli e contrari. «Il problema non è solo la merce falsificata quanto l’intera filiera di produzione, irregolare e illegale», spiega Santiago Montoya, funzionario dell’Ufficio imposte di Buenos Aires. Fabbriche clandestine che utilizzano manodopera in nero e ovviamente non pagano un solo peso di imposte. Poi le imprese regolari che producono una parte “in nero” che confluisce a La Salada. Ecco, qui si rafforza e si esporta la cultura dell’evasione.
La guerra alla pirateria è persa? Alcuni mesi fa settanta ispettori, guidati dallo stesso Montoya, si sono presentati nell’enorme spianata occupata dal mercato.
Protetti dalle forze speciali di polizia e dell’esercito, vestiti in una divisa riconoscibile hanno interrogato centinaia di venditori, riempito formulari ed effettuato rilievi di ogni genere. Ignorati o insultati dagli “operatori”, all’alba sono rientrati a Buenos Aires. Difficile valutare il risultato del loro lavoro.
L’unica certezza è che poche settimane fa in tv, sul principale canale tv argentino, durante la partita di calcio Germania-Argentina valevole per i Mondiali del Sudafrica è comparso in sovraimpressione l’annuncio del sito internet de La Salada. Proprio cosí: un evento sportivo con un’audience altissima ospita la pubblicità delle pagine web del mercato illegale più conosciuto d’America Latina. D’altronde qui nulla è improvvisato: l’organizzazione dei padiglioni, i posti delimitati, il controllo dei superpoliziotti (privati) armati fino ai denti, la regia dei mammasantissima. Ovvio, per chi sgarra le sentenze non sono quelle dei tribunali.
Comunque sia c’è possibilità di redimersi. Alle prime luci dell’alba di questa primavera australe, dopo una notte di affari, loschi traffici, regolamenti di conti, gli altoparlanti sovrastano il brusio con un annuncio scandito chiaro e forte. «Nella cappella antistante il mercato, Padre Horacio dà la benedizione a chi la chiede».

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