martedì 16 marzo 2010

FRANÇAFRIQUE: LA RAPINA DELL’URANIO, UNO STORIA DI FERROVIE, STRADE, PORTI E CORRUZIONE. ASPETTANDO CINAMERICA (2)

All'inizio del 2009, dopo che Areva aveva firmato con l'ex uomo forte del Niger, Mamadou Tandja (defenestrato dal recente colpo di Stato) un contratto per lo sfruttamento dell'uranio che avrebbe dovuto mettere definitivamente fuori gioco i cinesi dalla partita della immensa miniera di Imouraren, il governo di Parigi ha subito dato il via ad un nuovo piano per trasportare l'uranio dall'Africa alla Francia. Infatti, non si trattava più di trasportare circa 3.300 tonnellate all'anno come prevedeva il vecchio trattato, ma subito 5.000 tonnellate che dovrebbero gradualmente salire fino a 9.000 all'anno entro il 2012, per poi restare entro questi limiti produttivi e di trasporto per un trentennio.

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Uno dei "giocattoli" che il presidente francese Nicolas Sarkozy aveva promesso al suo impresentabile amico Tandja era proprio un treno per trasportare l'uranio, mentre il gruppo di Vincent Bolloré (amico e sponsor di Sarkozy) proponeva ad Areva di portare «des butins de guerre du Niger» in Francia attraverso il porto di Abidjan, in Costa d'avorio, già famoso per il disastro dei rifiuti tossici della Probo Koala e per essere la porta di ingresso (e di fuga) in Africa dei peggiori traffici mondiali. In questo caso la nuova ferrovia avrebbe dovuto collegare il Niger alla Costa d'Avorio attraverso il Burkina-Faso, una soluzione che avrebbe consentito di raccogliere anche il manganese passando da Tambao. L'altra proposta veniva dalla Necotrans un'azienda di trasporti del gruppo Getma International che controlla il porto di Cotonou nel Benin e di Conakry, in Guinea: l'uranio di Imouraren partirebbe verso la Francia dalla capitale del Benin arrivando dalla strada che parte da Dosso, in Niger.

Di questa zuffa sulla logistica del yéllow cake ha cercato di approfittarne il presidente del Togo Faure Gnassingbé, che ha offerto alla Bolloré il porto autonomo di Lomè per assicurarsi la protezione del governo di Parigi nelle elezioni che si sono tenute a febbraio nel piccolo Paese africano e che sono state segnate da numerose irregolarità. Durante il summit Ue-Africa del dicembre 2007, il giornale satirico francese "Le Canard Enchainé" rivelò quello che Sarkozy disse all'«amico personale» Gnassingbé riguardo al porto di Lomé: «Bolloré è in cima alla lista. Quando si è amici della Francia, bisogna pensare alle imprese francesi».

In questi giorni l'opposizione democratica del Togo si chiede se le elezioni presidenziali di febbraio non fossero già stata vinte prima dal clan Gnassingbé a Parigi e se il "système RPT" (Rassemblement du Peuple Togolais, il partito al potere) che opprime il Togo da 20 anni non sia in realtà in mano a chi cura gli interessi della Francia.

Intanto Gnassingbé ha preparato un nuovo regalo a Sarkozy: l'arrivo in Togo dell'operatore di telefonia mobile Orange, un ramo di France Télécom, che sostituirà la Moov una società del gruppo Emirati Etisalat che in Togo ha 600.000 abbonati e dà lavoro a circa 200 persone e che il governo aveva già bloccato nel 2009 accusandolo di non aver pagato le concessioni.

Quel che è certo è che la banda che governa il Togo ha fatto di tutto per togliere dai guai e favorire i protagonisti finanziari della Françafrique. Così oggi Vincent Bolloré che controlla i porti di Abidjan e da poco quello di Lomé, ha a disposizione la logistica più sicura da offrire ad Areva, potendo proporre sia una ferrovia Agadez-Lomé o, più tardi, dopo le sempre rimandate elezioni presidenziali in Costa d'Avorio, la ferrovia Agadez-Abidjan. Alla luce di tutto questo Le Potentiel rilegge anche la genesi del colpo di Stato in Niger: «Forte di questo contratto di Imouraren, che blocca tutta una regione dell'Africa occidentale che possiamo chiamare il regno del gruppo nucleare francese Areva, composto dai Paesi satelliti della Francia in Africa, cioè il Niger, il Burkina Faso, la Costa d'Avorio, il Togo e il Benin, Mamadou Tandja, consacrato monarca dalla Francia, dopo aver passato 10 anni alla testa del Niger, ha intrapreso una vasta manovra di distruzione delle istituzioni del Niger in tutta impunità, con l'obiettivo di del potere eterno.

All'inaugurazione del complesso di Imouraren, senza imbarazzo né timore, ha annunciato davanti ai suoi invitati, tra i quali Alain Joyandet ministro della cooperazione e della francofonia, ed Anne Lauvergeon, presidente di Areva, il suo referendum costituzionale del 4 agosto 2009, per «smontare le istituzioni democratiche del Niger». Eì così, con il beneplacito francese, che Tandja ha dissolto il Parlamento e la Corte costituzionale nel giro di un mese per poi indire elezioni boicottate dall'opposizione nelle quali si è assicurata una «Vittoria schiacciante» che ha comportato l'espulsione del Niger dalla Comunità degli Stati dell'Africa occidentale (Cedeao), la sospensione di 18 milioni di euro di aiuti da parte dell'Unione europea, ma non la riprovazione di Areva.

Anzi, Anne Lauvergeon ha recentemente pubblicato un libro intitolato "La troisième révolution énergétique" che evidenzia come nel mondo ci siano 440 centrali nucleari, 58 delle quali in Francia (anche se dà per realizzata la numero 59, cioè l'Epr, per il 2010). Il giornale di Kinshasa La Potentiel spiega: «Questa rivoluzione delle potenze industriali a nella corsa alle energie strategiche, vale a dire il petrolio e l'uranio, ha per terreno di ostilità l'Africa. La Cina, la Francia e gli Stati Uniti, tutti membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si dividono il guadagno energetico e minerario del continente africano. Questo non succede senza conflitto ideologico, né degrado dei valori democratici nel Niger di Mamadou Tandja, nel Congo-Brazzaville di Sassou Nguesso, nel Gabon dei Bongo, nel Togo dei Gnassingbé, nella Costa d'Avorio divisa in due, nella Guinea Conakry di Dadis Camara, nel Madagascar di Rajoelina e Ravalomanana, nel Centrafrica di Bozizé ecc. per quel che riguarda il gioco pericoloso della Francia sul continente».

Anche la Cina sembra veder vacillare la sua immagine fraterna in Africa: pesa l'accusa di aver venduto armi al regime del Sudan che le avrebbe utilizzate nel genocidio del Darfour. Però i cinesi continuano imperterriti la loro espansione africana, firmando con tutti i Paesi accordi di assistenza tecnica nel settore agricolo, per le infrastrutture stradali e per la sanità. Anne-Cécile Robert, giornalista di Le Monde diplomatique ed autrice del libro "L'africa in soccorso dell'occidente", fa osservare su Le Potentiel che «Senza dubbio in risposta al summit strategico sino-africano, il nuovo presidente americano non ha ricevuto, a margine della sessantaquattresima Assemblea generale della Nazioni Unite a New York, i Capi di Stato dell'Africa subsahariana. Non c'è là una volontà di creare dei summit americano-africani per contrastare l'influenza della Cina sul nostro continente, sull'esempio dei summit franco-africani?».

Eppure la Cina dimostra una spregiudicatezza senza limiti, come quando ha approfittato dell'abbandono da parte della Francia della giunta militare golpista di Dadis Camara in Guinea (accusata del massacro degli oppositori a Conakry) per firmare subito con i golpisti un contratto da 7 miliardi di euro per l'estrazione di minerali strategici, assicurando protezione e impunità ai militari. Lo stesso benevolo trattamento Pechino lo ha riservato al sudanese Omar El Béchir che se ne frega del mandato di arresto internazionale, proprio come tutti i dittatori africani non si preoccupano molto delle critiche occidentali per i loro delitti ed abusi.

La Robert su Le Potentiel evidenzia che «Secondo gli esperti di geopolitica e strategia, questa competizione franco-sino-americana assumerà tutta la sua dimensione intorno al 2040 o al 2050, per diventare, alla fine, un affare esclusivamente Sino-Americano, con l'eliminazione della Francia in Africa. Questa sarà la guerra Pechino-Washington. Si comprende comodamente perché i Paesi occidentali e le loro istituzioni finanziarie non chiedano l'avvento della democrazia, la libertà e lo Stato di diritto in Africa come da loro. Essendo questi valori incompatibili con i loro interessi sul continente, preferiscono ingannare gli africani con il molto interessato concetto di buona governance».

Umberto Mazzantini

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