martedì 6 ottobre 2009

CHI HA PAURA DEL LODO ALFANO?

Il 23 luglio 2008, n. 124, è stato approvato il c.d. Lodo Alfano recante «Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato»).

Alla luce di questa norma varrebbe la pena avere un rigurgito di coerenza e cancellare una volta per tutte la scritta “la legge è uguale per tutti” da tutte le aule dei tribunali italiani. Vediamo perché punto per punto, analisi per analisi.

A) COSA DICE IL LODO ALFANO:
“Salvi i casi previsti dagli articoli 90 e 96 Costituzione, i processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente della Repubblica, di Presidente del Senato della Repubblica, di Presidente della Camera dei deputati e di Presidente del Consiglio dei Ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione. La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione. (…) Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data in vigore della presente legge”.
Si tratta, in altre parole, di un’immunità processuale i virtù della quale i reati commessi restano tali e sono astrattamente punibili solo che la celebrazione del processo è spostata alla fine del mandato. Essa è RETROATTIVA, vale cioè anche per fatti commessi prima di assumere la carica istituzionale e vale PER TUTTI I REATI. Altra cosa è l’immunità sostanziale che invece esclude la stessa punibilità del fatto e che sarà oggetto di analisi al unto C.

B) VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA, OMBRELLO PROTETTIVO DEI DIRITTI FONDAMENTALI CHE TUTTO IL MONDO CI INVIDIA.

Diversi sono i principi violati dal Lodo Alfano: vediamoli uno per uno:
- l’articolo 3, per il quale “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche condizioni personali e sociali”. È di chiara evidenza che, se i processi penali continuano ad essere celebrati per la collettività tutta tranne che per quattro persone, c’è una disuguaglianza nella funzione di diritto-dovere della giurisdizione. Alle origini della formazione dello Stato di diritto sta, infatti, il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione, il cui esercizio è regolato da precetti costituzionali;
- l’articolo 24, per il quale “ Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Risulta in tale modo una doppia limitazione. Da un lato quella del giudice di convogliare le indagini penali in un processo, dall’altra la possibilità per la persona offesa dal reato di poter vedere riconosciuta l’offesa subita in un processo penale e richiedere l’applicazione delle misure cautelari e di sicurezza a sua tutela;
- l’articolo 111 comma 3, sulla ragionevole durata dei procedimenti che garantisce specificamente la speditezza del processo e quindi l’effetto di concentrazione che consegue alla continuità fra istruttoria dibattimentale (assunzione delle prove), discussione finale e decisione del giudice. Tale articolo va interpretato in combinato disposto con l’art. 6 della Convenzione Europea del diritti dell’uomo. L’Italia è già stata duramente sanzionata per la lentezza della giustizia dalla Corte di Giustizia Europea al punto tale da essere “politicamente obbligata” a emanare la legge Pinto sulla ragionevole durata dei processi;
- l’articolo 112, secondo il quale “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale” nei confronti di chiunque. Tale principio è poto a tutela di tutti i cittadini, per evitare che vi sia un doppio binario nell’azione della magistratura in virtù del quale il ladro di gallina sia indagato e condannato con tempi veloci degni della Scandinavia e per il Don Rodrigo di turno invece l’indagine rimanga chiusa in un cassetto. La Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza, ha più volte affermato che «l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale ad opera del Pubblico Ministero (…) è stata costituzionalmente affermata come elemento che concorre a garantire, da un lato, l’indipendenza del Pubblico Ministero nell’esercizio della propria funzione e, dall’altro, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale. Grazie al Lodo Alfano, invece, quattro persone, con una legge, sono posti “al di fuori” della legge che vale per tutti i cittadini;
- L’articolo 138 in virtù del quale, il “Lodo Alfano”, comprimendo diritti fondamentali della persona, avrebbe dovuto essere legge di rango costituzionale e quindi approvata da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi e a maggioranza assoluta di componenti di ciascuna Camera in seconda votazione. I padri Costituenti conoscevano il delicato equilibrio con il quale aveva visto la luce la Costituzione. Idearono questo articolo proprio per evitare che si facessero delle modifiche in grado di incidere su diritti fondamentali con colpi di mano del Parlamento o del Governo. La maggioranza qualificata è posta a garanzia di un’adeguata ponderazione degli interessi e di una trasversalità delle scelte nell’azione politica.

C) POSSIBILI PARADOSSI: LA VITTIMA DI UN REATO COMUNE È MENO VITTIMA DI UN REATO FUNZIONALE

Il motivo con il quale il Lodo Alfano è stato giustificato è la “necessità del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono alle quattro più alte cariche dello Stato”. Pochi sottolineano in questi giorni che una tutela per i reati funzionali (connessi all’esercizio delle funzioni) esiste già e non a caso è fatta salva dal Lodo Alfano. L’art.68 Costituzione recita:“ I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna,ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.” Risulta dunque che la necessaria serenità nelle funzioni con la quale è stata giustificata la legge Alfano è un pretesto che insulta l’intelligenza degli italiani. Il Lodo Alfano copre tutti i tipi di reati, dalla violenza sessuale al maltrattamento di animali, passando dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. Tutti i reati, per un lasso di tempo che copre il presente e il passato. A questo punto sarebbe possibile in ipotesi che si creasse una disparità tra la vittima di un reato funzionale e la vittima di un reato comune. Mettiamo un caso. Se una delle quattro cariche raccomandasse illecitamente ad un ente pubblico una ragazza, commetterebbe un reato nell’esercizio delle sue funzioni e, dopo l’autorizzazione a procedere dell’art. 68 della Costituzione, potrebbe in teoria essere processato. Ma se prende una ragazza e la massacra di botte, o le viola la corrispondenza o la violenta non sarà processabile: il reato è commesso al di fuori delle funzioni. Bizzarro, no? C’è, dunque, da chiedersi se il sereno svolgimento delle funzioni delle Alte Cariche dello Stato lo debbano proprio pagare i cittadini, quelli che non sono e non saranno mai alte cariche dello Stato. Quei cittadini che potrebbero essere persone offese di uno qualsiasi dei reati comuni per i quali chiunque altro sarebbe penalmente perseguibile. Perché non si deve dimenticare che prima di essere cariche istituzionali le persone che la ricoprono sono anche persone e come tali hanno una vita di relazione e di interazione con la collettività.
D) INESATTEZZE TERMINOLOGICHE: Insigni costituzionalisti hanno messo in evidenza la scorrettezza nell’utilizzo della parola lodo per definire una legge. Ciò per la semplice ragione che il “lodo”, secondo la comune accezione recepita anche dal legislatore, identifica la decisione di un arbitro (o di un collegio arbitrale), il quale, seppur non giudice, deve comunque essere imparziale nei confronti delle parti e degli interessi in gioco (tant’è vero che può essere ricusato per i motivi di cui all’art. 815 c.p.c.). Non si vede come un rappresentante politico, per definizione non super partes possa essere autore di qualcosa la cui veste giuridica deve essere sinonimo di terzietà. Ma forse, la parola Lodo è pomposa e suona meglio.

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E) LE BUFALE PIÙ FREQUENTI:
BUFALA D.O.P. : IL LODO ALFANO È STATO EMANATO SEGUENDO LE DIRETTIVE DELLA CORTE COSTITUZIONALE.
Il LODO ALFANO è il figlio evoluto di un’altra legge denominata LODO SCHIFANI (legge n. 140 del 2003) dichiarata incostituzionale dalla sentenza C.COST. n. 24 del 2004. A distanza di cinque anni e in sfregio all’art. 136 Cost. lo stesso legislatore ci riprova con una norma che mantiene l’impianto del Lodo Schifani. Siccome la Corte Costituzionale gli ha detto che l’immunità a vita non va bene, si accontenta di un’immunità per una sola legislatura.
Per il resto tutto uguale.

Il punto è cruciale perché rappresenta lo scudo utilizzato dai sostenitori del Lodo Alfano e, dunque, va affrontato con attenzione.
Le violazioni contestate al Lodo Schifani dalla Corte Costituzionale erano le seguenti:
1. la violazione della ragionevole durata del processo; INVARIATA
2. l’incostituzionalità della sottoposizione ad un’unica disciplina di cariche diverse non soltanto per le fonti di investitura, ma anche per la natura delle funzioni (la Corte si riferiva, sul punto, soprattutto alla ricomprensione tra i c.d. «magnifici cinque» del Presidente della Corte costituzionale); INVARIATA
3. l’incostituzionalità della distinzione dei Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri e della Corte Costituzionale rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti (ma sta provvedendo la new entry: il Lodo Consolo) INVARIATA
4. l’incostituzionalità della durata indeterminata della medesima;NON RIPROPOSTA
la violazione del diritto d’azione e di difesa della parte civile sottoposta anch’essa alla sospensione pur a seguito del trasferimento dell’azione in sede civile; RITOCCATA
l’incostituzionalità dell’«automatismo generalizzato» della sospensione; PARZIALMENTE RITOCCATA
Dei sei rilievi di illegittimità sul lodo Schifani sono stati accolti dal Lodo Alfano solo gli ultimi 3 e certamente non quelli più importanti. In particolare, la legge Alfano ha evitato:
a. lo scoglio della durata indeterminata della sospensione prevedendo la non reiterabilità nella successiva legislatura: l’immunità vale solo per una volta e non può essere chiesta per più di un mandato. È fatta salva la possibilità di sospensione qualora si ricopra un nuova carica ma di diverso tipo. Si da atto della modifica.
b. lo scoglio della sospensione dell’azione della parte civile in caso di trasferimento in sede civile. Ecco perché si dice che in caso di reato si può proporre azione civile. Va però sottolineato che la parte offesa dal reato non potrà chiedere l’applicazione di misure cautelari a tutela della propria incolumità fisica (allontanamento, custodia cautelare et cetera) o del proprio patrimonio economico per le obbligazioni civili nascenti da reato (sequestro conservativo o preventivo).
c. lo scoglio dell’automatismo della sospensione anche in favore del titolare della carica che non volesse giovarsene. In altre parole adesso l’imputato può rinunciare in ogni momento alla sospensione. È una previsione apprezzabile ma, dirà il tempo, quanto verosimile.
Tutto il resto è rimasto tale e quale e, dunque, costituzionalmente illegittimo.
Va, infine, in questa sede riportata la parte motiva della Corte Cost. in cui s’ afferma: “il principio di eguaglianza comporta che se situazioni eguali esigono eguale disciplina, situazioni diverse possono implicare differenti normative. In tale ipotesi, ha decisivo rilievo il livello che l’ordinamento attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione di diversità può venire in considerazione. Alle origini della formazione dello Stato di diritto sta il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione, il cui esercizio, nel nostro ordinamento, sotto più profili è regolato da precetti costituzionale”. In altre parole, la Corte dice: è astrattamente possibile che situazioni diverse possano avere discipline diverse, e che dunque le alte cariche possano avere un trattamento differenziato ma siccome il principio di parità nell’accesso alla giurisdizione è principio fondamentale nell’architettura costituzionale qualsiasi deroga ad esso deve avvenire nel rispetto dei principi che regolano lo Stato di diritto.

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F) CHI TACE NULLA DICE: LA QUESTIONE DELL’ART. 138 DELLA COSTITUZIONE
I sostenitori del Lodo Alfano sostengono inoltre che dal momento che la Corte Costituzionale nella sua sentenza non ha fatto riferimento all’art. 138 (quello sulla necessità di una norma di rango costituzionale) si potesse utilizzare la legge ordinaria. Dire e pensare questo è scorretto per tre motivi.
1. La sentenza n. 24 del 2004 non è una sentenza di rigetto ma di accoglimento, per cui la circostanza che l’annullamento sia stato pronunciato in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. e che, nella motivazione, sia stato detto espressamente che «Resta assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale” non autorizza e non dice nulla di nuovo sulla possibilità di utilizzare una legge ordinaria (emanata dal parlamento senza le maggioranze e le garanzie prima viste). L’ordinanza di rimessione del Tribunale di Milano poneva la questione di legittimità costituzionale sugli art. 3 (eguaglianza) e 24 (diritto d’azione), per cui la Corte non era chiamata a esprimersi sull’art. 138. Il riferimento all’art. 138 mancava nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, anche se, in ogni caso, l’assorbimento “di ogni altro profilo di illegittimità costituzionale” contenuto nella motivazione ha, secondo buon senso e sia pure implicitamente, anche il problema della necessità della forma costituzionale.
In altre parole, io Corte ti rispondo rispetto a quello che chiedi (artt 3 e 24), rigetto per i motivi che mi hai esposto e siccome il più assorbe il meno non vedo la necessità di dire qualcosa su altri principi (art. 138). Mi basta la violazione di quelli che mi hai esposto. Questo non vuol dire che io ti autorizzi a fare una legge ordinaria, semplicemente non ero chiamata a decidere su quel punto. Chi tace non dice niente e tantomeno acconsente a una scelta così rilevante soltanto per implicito
2. A conferma di quanto testè esposto, gli artt. 90 e 96 Cost. sulla immunità sostanziale per i reati commessi nell’esercizio delle funzioni confermano che le deroghe al precetto dell’art. 3, comma 1 Cost. necessitano della «forma» costituzionale.
3. Infine, secondo una parte della dottrina della Corte costituzionale l’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge costituirebbe uno dei principi supremi del nostro ordinamento, come tale non modificabile nemmeno con una legge di revisione costituzionale postulatandone l’irrivedibilità costituzionale.
G) SIAMO UN CASO UNICO NELLE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI: Date le inesatte notizie diffuse a riguardo si ritiene doveroso precisare che in nessuna democrazia è prevista l’immunità temporanea per i reati comuni. Essa è prevista solo nella Costituzione greca, portoghese, israeliana e francese con riferimento però al solo Presidente della Repubblica. Analoga immunità non è prevista per il Presidente del Consiglio e per i Ministri in alcun ordinamento di democrazia parlamentare analogo al nostro, tanto meno nell’ordinamento spagnolo più volte evocato, ma sempre inesattamente
H) LA SOVRANITA' APPARTIENE AL POPOLO. Tra le tante cose che vengono dette per giustificare gli abusi del potere si sostiene l’intoccabilità di coloro che sono “eletti dal popolo”. A parte che ormai più che eletti i parlamentari sono designati dai partiti, il concetto di sovranità popolare non può essere interpretato solo nella parte che fa comodo al legislatore. L’art. 1 Cost. recita “ La sovranità appartiene al popolo che la esercita «nelle forme e nei limiti della Costituzione». Dal che derivano almeno due conseguenze: la prima, che il popolo non può, col suo voto, rendere giudiziariamente immuni coloro che siano stati da esso stesso eletti; la seconda, che nessun organo costituzionale, collegiale o monocratico, può dirsi, per definizione, sovrano. In una democrazia costituzionale nessuno ha un potere assoluto, neppure il popolo, e ogni potere è soggetto alla Costituzione. In altre parole il popolo non può firmare cambiali in bianco ai politici che elegge, non può delegare certi poteri, perché quei poteri non li ha neppure lui. E se non ce li ha il popolo figurarsi i suoi eletti…
I) LA SEPARAZIONE DEI POTERI. A CIASCUNO LA SUA FETTA. Principio affermato da Montesquieu secondo il quale è condizione di libertà che i tre poteri fondamentali dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario) non siano nelle stesse mani, ma appartengano a organi diversi e separati quanto a titolarità e competenze. Il principio su cui si reggono gli ordinamenti liberali del sec. XIX e quelli democratici contemporanei, trova applicazione anche nella Costituzione italiana, che nel delineare l’ordinamento della Repubblica, ripartisce le funzioni legislativa, esecutiva e giudiziaria tra Parlamento, Governo e Magistratura, con l’aggiunta del Presidente della Repubblica e del Presidente della Corte Costituzionale in funzione di equilibrio e di contemperamento di attività. Per illustrare la cosa, alcuni giuristi hanno fatto questo esempio. Si immagini che ci siano due persone affamate e che abbiano a disposizione una pizza. Si tratta di dividerla. Ognuno ne vorrebbe per se la maggiore quantità possibile e si deve trovare un criterio di gestione che dia garanzie a entrambi. L’unica soluzione sarà quella della separazione dei poteri. Uno dei due affamati taglierà la pizza e in due parti e l’altro distribuirle fette. Solo così si potrà essere sicuri che chi taglierà la pizza la taglierà in parti uguali. Sapendo che sarà costretto a subire la regola che porrà, sarà indotto a porne una giusta. Se, invece, chi taglia le fette potesse anche scegliere come distribuirle, sarebbe molto alto il rischio che egli tagli le fette in maniera diseguale e si scelga la fetta più grande. Se uno dei due affamati potrà tagliare la pizza e scegliersi la fetta, l’altro non avrà alcuna speranza di mangiarne anche solo un po’ e la sua condizione sarà quelle di chi, per sopravvivere, non potrà fare altro che invocare compassione nella sua controparte. Questo è il meccanismo della “separazione dei poteri”fra legislativo e giudiziario: alcuni fanno le leggi e altri le applicano. Se chi fa le leggi sa che vi sarà soggetto anche lui, le farà più eque possibili. Se chi fa le leggi saprà, invece che potrà non applicarle a sé e ai suoi amici, allora farà ciò che vuole.
LE TENDENZE EVOLUTIVE: Decidere chi non può essere processato, politicizzare ulteriormente il CSM, mettere in dubbio il principio di obbligatorietà dell’azione penale, rendere difficoltoso l’espletamento delle indagini tagliando i mezzi alla magistratura sono tutti modi che mettono in crisi la separazione dei poteri. L’indipendenza della magistratura non significa, come ci è quotidianamente propagandato, arbitrio o mancanza di regole. Difendere le ragioni del diritto, della Costituzione e della democrazia non significa difendere un interesse privati dei magistrati. Il sistema giustizia in Italia è inefficiente e certamente le colpe non stanno tutte da una parte. Il legittimo sospetto però è che l’inefficienza, sia un’inefficienza efficace. Essa, cioè, non è frutto del caso o di una deriva patologica ma di una precisa volontà politica, perché un paese nel quale i poteri forti nascono, si nutrono e vivono con l’illegalità non può permettersi una giustizia efficiente. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura è solo uno dei modi per garantire che le regole valgono per tutti e che non può e non deve esistere una giustizia debole coi forti e forte coi deboli.
Per l’accesso alle fonti primarie sulla questione di legittimità costituzionale si rimanda al blog a cura di alcuni magistrati www.toghe.blogspot.com

Frida Anselmi

italo

2 commenti:

Tisbe ha detto...

Hai sentito i vaneggiamenti di mavalà? Sostiene che il Lodo è giusto

catone ha detto...

@ Tisbe
E' vero, Mavalà ha ragione perchè la storia insegna che non tutti sono stati trattati ugualmente daventi alla legge. Ma sarebbe ora che tutti ci battessimo per l'osservanza di questo principio basilare dell'uguaglianza di tutti gli esseri umani, nei diritti e nei doveri.

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