venerdì 12 dicembre 2008

Ricordo dell'amico

Passano i giorni da quel triste 12 nov. ’08, ma la consapevolezza che il mio migliore amico se ne sia improvvisamente andato non riesce a fare breccia nella mia mente. E’ come se tutto quanto è successo fosse solo un brutto sogno, un incubo dal quale prima o poi risvegliarsi per tornare alla vita normale. Il dolore ha aperto una ferita profonda nel cuore di quanti gli erano vicini e difficilmente si rimarginerà, perché non era uno dei tanti anonimi e squallidi uomini di questa società. In qualsiasi situazione fosse, la sua presenza si sentiva, attraverso il tono della sua voce, la sua vis polemica, la sua curiosità di ascoltare e confrontarsi, le sue chiare e logiche deduzioni, il suo parlare sincero. Mancano la sua fisicità, la sua intelligenza, la sua arguzia, la sua sana e vivace irruenza. E manca soprattutto il suo grande cuore.
A volte, quando sono solo, mi capita di ritrovarmi a parlare con lui ed a rimproverarlo per la sua dipartita. Poi mi rendo conto di parlare a vuoto e mi chiedo se sono diventato un pochino svitato. Ma non sono proprio sicuro che lui non sia lì a discutere con me delle più svariate problematiche sociali. Certamente l'essenza del suo spirito mi sta accanto.



La caducità della vita mi porta spesso a considerare quanto sia ridicolarmente disgustoso il modo in cui noi poveri esseri umani (gli essere superiori del pianeta!) riempiamo le nostre misere giornate. Egocentrismo, invidia, squallida furberia più che sana furbizia sono ormai le caratteristiche dominanti di questa società a-sociale, che ha anteposto l’individuo alla comunità in una lotta spietata tra barbari alla conquista arraffona di insensate mete personali, a danno di tutti e di tutto. Una corsa assurda, senza logica, verso la propria autodistruzione, un nichilismo spietato, quasi un consapevole ricerca della morte. Ebbene la morte, che quasi avremmo la pretesa di dominare è la condicio sine qua non possiamo dire di vivere. Vita e morte, ciclo naturale di ogni essere vivente, sono un tutt’uno, l’unità di uno spirito che si rigenera in un’altra vita, almeno nei ricordi, nelle testimonianze lasciate, nei pensieri espressi. Non c’è bisogno di correre, di dannarci l’anima e il corpo per raggiungere chissà quali illusorie e futili mete, perché con esse non sfuggiremo certo a quella che è la nostra unica meta certa, la morte, parte speculare della vita.

Non dobbiamo dimenticarci mai che noi umani non possiamo dominare la natura, perché facciamo parte della natura stessa.

GIORGIO GABER "Coscienza della morte"

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