sabato 24 gennaio 2009

Barbarie messicane

TIJUANA (Messico)
Un malavitoso al soldo dei narcotrafficanti messicani ha ammesso di aver disciolto nell’acido almeno trecento cadaveri nell’arco di una decina di anni: l’uomo, Santiago Meza, con la sua macabra confessione ha così fornito un’ulteriore conferma dei livelli di brutalità ai quali si è spinta la guerra tra bande rivali in Messico, che miete ormai diverse centinaia di morti ogni anno.
Originario di Guamachil, nello Stato nord-occidentale di Sinaloa, Meza era detto anche "el Pozolero", cioè "colui che prepara lo stufato", e lavorava per Teodoro Eduardo Garcia Simental alias "el Teo", boss di una fazione scissionistica del famigerato cartello diretto dai fratelli Arellano Felix. Insieme a tre complici è stato catturato da unità speciali dell’Esercito due giorni fa a Ensenada, cittadina situata nei pressi di Tijuana, nella Baja California, a un’ottantina di chilometri dalla frontiera con gli Usa. Mostrato ai giornalisti, ha dichiarato che il suo compito consisteva appunto nel far sparire ogni traccia degli avversari o dei debitori dei suoi mandanti.
Le vittime, ha precisato l'uomo, erano già state uccise prima di essergli affidate; a lui spettava solamente infilarne i resti in fusti metallici e immergerli nella soda caustica. Per quel lavoro riscuoteva un "salario" settimanale di 600 dollari. «Mi portavano i corpi e io semplicemente me ne sbarazzavo», ha tagliato corto. «Non provavo un bel niente». Come base operativa "el Pozolero", 45 anni, si serviva di un cantiere abbandonato alle periferia di Tijuana, dove soltanto l’anno scorso a causa dei regolamenti di conti tra narcos hanno perso la vita più di settecento persone. I cadaveri impiegavano in media 24 ore per sciogliersi, ma ne rimaneva sempre qualcosa, e allora Meza provvedeva a disfarsene gettando le spoglie in un pozzo. In effetti la polizia, che ritiene il malvivente abbia detto la verità, ha rinvenuto a varie riprese scheletri calcinati nei dintorni della città. «Possano perdonarmi» ha comunque concluso Meza, con riferimento alle vittime, prima di essere riportato dagli agenti in carcere.

C'è lavoro e lavoro, ma non possono esserci
giustificazioni per azioni tanto aberranti.






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